L'Italia e' al terzo posto (12,2%) sul fronte produzione farmaceutica in Europa. Il podio va alla Svizzera (17%), seguita dalla Germania (13,7%). Questo uno degli aspetti emersi oggi in occasione del Convegno "Crescere in salute in Italia e in Europa. Le priorità del semestre di presidenza italiana dell'UE".
L'industria farmaceutica e quella delle tecnologie medicali - si evince dalla ricerca 'I com' - rappresentano un comparto cruciale per la competitività in tema di capacità produttiva, esportazioni e della Ricerca&Sviluppo. Sulle esportazioni l'Italia si attesta sui 17,2 miliardi di euro, mentre Germania e Svizzera insieme concorrono a un terzo dell'export farmaceutico totale (107 miliardi di euro). Mentre per la qualità dei servizi sanitari erogati in Italia ed Europa su un campione rappresentativo della popolazione italiana di 1.020 individui, il 64,7% afferma che preferirebbe farsi curare in Italia piuttosto che all'estero. La propensione ad affidarsi a strutture sanitarie straniere è più alta tra i giovani (58,8% dei 18-25enni).
Nonostante il protrarsi della crisi economica il biotech italiano continua a essere competitivo a livello europeo. A fine 2013 l'Italia infatti, con 422 imprese di cui 264 che hanno il biotech come proprio core business, si è posizionata al terzo posto, dopo Germania e Regno Unito. E a trainare l'intero settore, in linea con quello che accade negli altri Paesi, sono le biotecnologie della salute. È quanto emerge dal 'Rapporto 2014 sulle biotecnologie in Italia', illustrato questa mattina a Milano nel corso dell'assemblea annuale di Assobiotec, l'associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che appartiene a Federchimica. ''È allora necessario che l'Italia investa nel biotech per tornare a crescere e a creare occupazione'', ha detto Alessandro Sidoli, presidente dell'associazione, intervenuto all'assemblea, presentando casi di successo di aziende italiane. ''Il nostro Paese - ha aggiunto - ha bisogno di un piano strategico per le biotecnologie, indispensabile per permetterci di primeggiare nell'alta innovazione''. Un messaggio che trova subito riscontro nella lettera che il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha inviato all'assemblea: ''Il mio impegno - ha fatto sapere - è che l'Italia nell'ambito del semestre Ue a presidenza italiana, possa svolgere un ruolo di guida volto alla promozione di iniziative che incentivino gli investimenti da parte dell'industria, attraverso il pieno coinvolgimento delle amministrazioni centrali, delle regioni e delle università''.
Ospitato dal 3 al 5 giugno a Londra, l’evento ha chiamato a raccolta produttori, mondo della politica, attori della filiera e rappresentanti dei pazienti per confrontarsi sulle prospettive e sulle opportunità dei “senza ricetta”. Al 50° Congresso annuale dell’Aesgp, la sigla delle industrie europee dell’automedicazione si è parlato di mercato del farmaco, ma anche del ruolo dei farmacisti in un settore che appare in notevole sviluppo. Per quanto concerne l’evoluzione del mercato, le stime degli esperti appaiono ottimistiche: nel 2013 il giro d’affari degli Otc è cresciuto del 7,3% a livello mondiale e la previsione è che il trend proseguirà anche negli anni a venire. Spingeranno in questa direzione soprattutto due fenomeni, la progressiva voglia di autonomia dei consumatori e le politiche statali di contenimento della spesa farmaceutica pubblica, che accresceranno la spesa privata per medicinali e renderanno i pazienti sempre più sensibili ai differenziali di prezzo. Non a caso, il tema portante del meeting londinese (nella cui cornice si è anche svolto il 18° Congresso della Wsmi, l’organizzazione mondiale dei produttori di Otc) era “Selfcare, il gold standard della salute”. «Una corretta automedicazione» ha osservato June Raine, del Mhra (l’agenzia del farmaco britannica) «costituisce la base di un intero sistema sanitario».
Ovviamente non è mancato il confronto sulle richieste che l’industria ha presentato a politici e agenzie regolatorie: la richiesta – che si ripete da vari anni – è sempre quella di una semplificazione delle procedure di switch, ossia la riclassificazione di un farmaco da etico a Otc. Come esemplifica il recentissimo caso del cialis, è strategia consolidata di molte aziende cercare lo switch di un “blockbuster” che si avvicina alla scadenza brevettuale, per poi competere su comunicazione e valore del brand alla comparsa dei primi generici. Per Guido Rasi, direttore dell’Ema (l’agenzia europea del farmaco), operazioni di questo genere vanno però valutate con estrema attenzione: «Anziché puntare sempre allo switch di farmaci che sono nati con l’obbligo della ricetta» ha detto al Meeting dell’Aesgp «l’industria potrebbe anche cercare di sviluppare molecole che fin dall’inizio puntano a essere Otc».
Si è anche parlato parecchio del ruolo della farmacia: John Chave, come detto in apertura, ha ricordato l’insostituibilità dei presidi in un comparto come quello dell’automedicazione, ma ha anche invitato i farmacisti a un ruolo più proattivo: se vuole mettere in campo tutto il suo valore aggiunto, ha detto, il farmacista non può sguarnire l’area del selfcare. Dove la necessità rimane quella di fare cultura, come dimostra il progetto congiunto Assosalute-Cittadinanzattiva che Antonio Gaudioso, segretario generale dell’organizzazione dei consumatori, ha presentato a Londra: rivolto agli studenti delle scuole superiori, il progetto si impernia su una campagna (con video e materiale divulgativo) diretta a informare i giovani sui rischi che si corrono quando si acquistano su internet anabolizzanti o altre sostanze da doping sportivo. Una campagna, ha detto Gaudioso, che Cittadinanzattiva vorrebbe estendere anche nelle farmacie, proposta immediatamente raccolta da Annarosa Racca, presente a Londra in rappresentanza di Federfarma.
fonte: federfarma
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