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Anche i chirurghi lasciano: crollo in tutte le specializzazioni

Sanità pubblica Redazione DottNet | 14/10/2014 17:06

Si svuotano le sale operatorie, in Italia: nel 2010 il numero di assunti di ruolo in chirurgia generale ha coperto il 10% del fabbisogno e il 20% in quella specialistica. E si calcola che i 'maghi del bisturi' a mancare all'appello arriveranno a circa 34.000 fra 10 anni, nel 2024.

A lanciare l'allarme è Francesco Corcione, presidente della Sic (Società italiana di chirurgia), appena eletto nel corso del congresso, svoltosi a Roma. Nel nostro Paese, si sottolinea, vengono ormai stipulati pochissimi contratti a tempo indeterminato (nel 2011 supplivano soltanto al 15% delle carenze di organico) a causa di tagli, errate valutazioni da parte delle Regioni e blocco dei contratti in quelle amministrazioni sottoposte al piano di rientro.

 

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E l'espatrio diventa una strada sempre più apprezzata fra i giovani esponenti della categoria, poiché uno specializzando italiano guadagna la metà di un collega inglese (1.750 euro contro 2.500 sterline), dunque diventare chirurgo non è più un sogno per i medici: un laureato, tra specializzazione e precariato, inizia a disporre di un proprio reddito ben 10 anni dopo i coetanei professionisti che hanno scelto di studiare Ingegneria, o Giurisprudenza. Quanto alla formazione, inevitabile guardare a quel che accade negli Stati Uniti, dove il percorso è più breve ma più efficace: si impiegano 4 anni per conseguire la laurea, poi 5 di internato e 2 di specializzazione per diventare "chief resident". Nel frattempo, però, il giovane studente americano alla fine dei 7 anni trascorsi "sul campo" ha eseguito circa 2.000 interventi con rotazione obbligatoria nelle varie specialità della Chirurgia. La Sic, infine, mette in risalto l'avanzata del "bisturi rosa", giacché nell'arco di un decennio le donne iscritte alle scuole di specializzazione sono aumentate dall'8% del 2001 al 50% del 2010.


Il problema riguarda comunque tutte le categoria mediche: secondo l’ultimo rapporto Ocse, in Italia sono attivi circa 230mila medici (ovvero 3,7 medici ogni mille abitanti). Gli iscritti agli Ordini provinciali, però, sono assai più numerosi, vista l’abitudine di questa categoria professionale di conservare l’iscrizione ben al di là della fase di vita lavorativa. Al marzo 2012, infatti, risultano iscritti agli Omceo oltre 376mila medici: ogni tre medici in attività, ce ne sono quindi altri due iscritti, ma già in pensione.

E nei prossimi anni la percentuale di medici attivi sul totale dovrebbe ulteriormente ridursi, poiché è previsto che da qui al 2019 ci sia un’uscita dall’attività di circa 50mila medici, cui se ne dovrebbero aggiungere 80-100mila tra il 2020 e il 2034. La progressiva  flessione del numero dei medici in attività si fa più evidente analizzando i dati forniti dalla Fnomceo scorporati per specializzazione. Sebbene l’indicazione di questo elemento non sia obbligatoria al momento dell’iscrizione, infatti, le generazioni di professionisti più giovani tendono a fornirla con maggiore regolarità e, proprio per questo, la flessione che si riscontra in tutte le specializzazioni appare significativa.

 

Tra il 2005 e il 2012 in cardiologia e ginecologia si registra il 5% in meno, quasi il 6% in meno in chirurgia, stesso dato per i medici legali, mentre tra gli urologi e gli igienisti la flessione è intorno all’8% e di più del 4% tra gli ortopedici.
Uno scenario che preoccupa sia sotto il profilo della tenuta del sistema pensionistico, sia per la possibilità di mantenere gli attuali servizi sanitari, ma che secondo il vicepresidente della Fnomceo Maurizio Benato può trovare una soluzione in una profonda revisione dei modelli organizzativi, che valorizzi il lavoro d’equipe e le diverse professioni sanitarie non mediche.

 

 

fonte: sic, fnomceo

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