Romosozumab è un anticorpo monoclonale umanizzato anti-sclerostina, una glicoproteina secreta dagli osteociti che regola la formazione del tessuto osseo. Essa infatti ostacola la proliferazione e la funzione degli osteoblasti, diminuendo la formazione di osso.
Pazienti con un deficit genetico di sclerostina o con delezione del gene SOST –che codifica per la sclerostina- hanno un'elevata massa ossea e un'aumentata forza ossea che si traduce in resistenza alle fratture. L’espressione del gene SOST è limitata al tessuto scheletrico e ciò rende l'inibizione della sclerostina un target farmacologico particolarmente attraente nell'ottica di limitare potenziali effetti off-target dell'inibitore.
Uno studio multicentrico randomizzato, controllato con placebo, su 419 donne in postmenopausa, di età compresa tra 55 e 85 anni e con bassa densità minerale ossea, ha valutato l'efficacia e la sicurezza di Romosozumab in un periodo di 12 mesi.
Le donne sono state randomizzate a ricevere per un anno uno di otto diversi trattamenti: o romosozumab per via sottocutanea a diversi regimi posologici (70, 140 o 210 mg una volta al mese, oppure 140 o 210 mg ogni tre mesi), oppure uno dei due principali competitor (alendronato per os, 70 mg alla settimana, o teriparatide per via sottocutanea, 20 microgrammi al giorno), o placebo (iniezioni sottocutanee mensili o ogni tre mesi).
L'end-point primario dello studio era rappresentato dal cambiamento percentuale della densità minerale ossea misurata al livello della colonna lombare dopo 12 mesi di trattamento rispetto al valore basale.
Gli endpoint secondari includevano le variazioni percentuali della densità minerale ossea in altri siti e nei marcatori del turnover osseo.
Rispetto al placebo, che mostrava un cambiamento medio di -0,1%, ciascuno dei cinque regimi posologici di Romosozumab produceva un aumento statisticamente significativo (P<0,001) della densità minerale ossea: 5,4 e 5,5% alle dosi somministrate ogni 3 mesi; 5,4%, 9,1% e 11,3% alle dosi crescenti somministrate mensilmente. I miglioramenti della densità minerale misurati alla colonna lombare si accompagnavano a modifiche analoghe a livello dell'anca e del collo del femore (end-point secondari).
Inoltre, il farmaco sperimentale risultava significativamente superiore all’alendronato (che aveva mostrato un aumento del 7,1%), alle dosi mensili di 140 e 210 mg, e alla teriparatide (che aveva mostrato un aumento del 4,1%).
Durante tutto il trattamento, a parte le reazioni nel sito di iniezione del romosozumab, non sono stati riscontrati particolari eventi avversi rispetto agli gruppi di trattamento.
In conclusione nelle donne in postmenopausa con bassa massa ossea, gli effetti del Romosozumab sulla formazione e sul riassorbimento osseo hanno prodotto un bilancio fortemente positivo nel turnover osseo con conseguente aumento rapido e persistente della densità minerale ossea.
Per approfondimenti consulti la bibliografia:
McClung MR. Romosozumab in postmenopausal women with low bone mineral density. N Engl J Med. 2014 Jan 30;370(5):412-20. doi: 10.1056/NEJMoa1305224. Epub 2014 Jan 1.
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