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Medici e certificati: tra falsi, minacce e scontri con gli ospedalieri

Medicina Generale Redazione DottNet | 31/10/2016 15:34

Camici bianchi nel mirino di pazienti arroganti e lavativi. Ma ci sono anche quelli che prendono soldi per attestare la 104

E’ partita due anni fa, ma ancora oggi continuano ad emergere nuovi indagati nell’inchiesta “la carica dei 104” scattata nell'Agrigento, dove centinaia di persone, con l’aiuto di false certificazioni emesse da medici, hanno usufruito senza averne diritto delle agevolazioni previste dalla legge 104 in materia di non autosufficienza e assistenza ai disabili.

In questa nuova tranche, secondo quanto riportato dalla stampa locale, sarebbero finite nel mirino degli investigatori oltre 250 persone. Coinvolti circa un centinaio di medici che avrebbero firmato false attestazioni, ma anche insegnanti e impiegati, per la gran parte residenti nei comuni di Raffadali e Favara. Le accuse contestate sono di falso materiale e falso ideologico commessi da pubblico ufficiale.


Certo, questo è un caso limite, in cui ci sarebbe anche la complicità del professionista, ma quanti sono i pazienti che chiedono al medico un certificato di malattia, magari per pochi giorni? Molti, moltissimi. In Italia basta telefonare al medico di famiglia, sciorinargli i sintomi e andare a ritirare il certificato di malattia. E poco importa che negli ultimi anni lo Stato abbia messo in campo la tecnologia per evitare abusi.

Ed ecco allora  l’agente di Brescia che a lavoro si dava malato per andare a suonare il piano, oppure i   767 vigili urbani di Roma che la notte di Capodanno del 2015 marcarono visita e non si presentarono al lavoro, mandando nel caos il traffico della Capitale. Tutti scagionati. Anzi il tribunale del Lavoro ha condannato l’Autorità per gli scioperi nei servizi pubblici a pagare le spese legali. L’organismo è reo di aver accusato i sindacati di aver organizzato uno sciopero bianco (l’obiettivo era Ignazio Marino e il suo tentativo di introdurre la rotazione obbligatoria dei “pizzardoni”) e di aver comminato multe per decine di migliaia di euro nei confronti di cinque sigle.


Giuseppe Lavra, presidente dell’Ordine dei medici di Roma, non accetta processi. «Noi quest’attività – spiega al Messaggero - non la vorremmo neanche fare. Da anni chiediamo che, per quanto riguarda la richiesta di pochi giorni, venga trasformata in un’autocertificazione. Perché questo è diventata: detto brutalmente, quando un paziente si presente da me e mi dice che ha mal di testa, mal di stomaco o tutte le patologie in cui la sintomatologia è avvertibile solo dal paziente stesso, io medico come faccio a dimostrare il contrario? E per la legge non posso neanche rifiutarmi a fare il certificato». Lavra è convinto della buona fede dei colleghi. «Quale medico, dopo tutto quello che ha speso per i suoi studi, mette a rischio la sua carriera per un certificato falso». Ma, continua l'intervista, ammette la difficoltà a sanzionare i comportamenti scorretti. «Possiamo farlo, soltanto quando la cosa è comprovata. Qualche anno fa una famosa azienda ci ha chiesto d’intervenire perché aveva riscontrato uno strano aumento di indisposizioni. Anche se la cosa non era dovuta, abbiamo convocato i medici che avevano firmato i certificati. I quali hanno ammesso che il surplus era collegato a un forte disagio aziendale all’interno dell’impresa, ma hanno sottolineato che, contemporaneamente, il regolamento interno prevedeva la piena forma fisica dei dipendenti per svolgere quella determinata attività».

Secondo i dati Inps,  ogni anno si registrano quasi 110 milioni di giornate perse (78 milioni nel privato e 31,5 milioni nella pubblica amministrazione). La Lombardia strappa la palma dell’assenteismo per malattie nelle imprese (21%) e il Lazio negli uffici statali (14,4%). Più in generale, la Cgia di Mestre ha evidenziato che i lavoratori più cagionevoli vivono in Calabria (restano a casa mediamente 34,6 giorni), quelli più robusti in Trentino Alto Adige (15,3 giorni). Mentre Confindustria ha ipotizzato che con regole più stringenti nella Pa si potrebbero recuperare almeno 3,7 miliardi. Che il datore sia un’impresa o lo Stato, un terzo delle malattie si manifesta di lunedì.

E c'è anche chi usa la forza pur di ottenere il certificato, come successo a Trento dove il Tribunale, Sezione penale, nella sentenza n. 346 del 3 maggio 2016 ha giudicato colpevoli per minacce a pubblico ufficiale due pazienti che hanno costretto un medico a rilasciare un certificato

Ecco i fatti: una donna, presentatasi dal suo medico di famiglia per un certificato medico, insisteva con la dottoressa affinché rilasciasse certificazione di 15 giorni di malattia, nonostante la stessa, a fronte dei sintomi descritti dalla paziente, riteneva non fossero diagnosticabili più di 5 gg. di malattia.

Dall'istruttoria è emerso che la paziente, uscita dall'ambulatorio, nei corridoi minacciava di far intervenire qualcuno per indurre il medico ad emettere il certificato e, in effetti, dopo poco sopraggiungeva il di lei compagno e i due rientravano nell'ambulatorio con atteggiamento minaccioso: l'uomo, sbattendo i pugni sulla scrivania, costringeva la dottoressa al rilascio certificato con la precisazione che da quel momento il loro rapporto si sarebbe interrotto.

Per tali ragioni, il Tribunale ritiene sussistente a carico dei due il reato di minaccia a un pubblico ufficiale ex art. 336 c.p.; infatti, in relazione alle funzioni esercitate (rilascio di certificazione medica), è da ritenere che la dottoressa al momento dei fatti fosse qualificabile come pubblico ufficiale.

Ai fini dell'integrazione del delitto, evidenzia il giudice, "non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l'uso  qualsiasi, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale".

Inoltre, ai fini della consumazione del reato, l'idoneità della minaccia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri deve essere valutata con un giudizio "ex ante", tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l'impossibilità di realizzare il male minacciato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato.

Nel caso in esame sussiste l'idoneità delle condotte in concreto tenute da entrambi gli imputati a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale: la dottoressa, infatti, secondo le dichiarazioni dei testimoni, subito dopo i fatti si presentava "visibilmente scossa, impaurita" e "chiedendole cosa fosse accaduto ansimava, quasi come se le mancasse il respiro"; la stessa parte offesa, inoltre, ha riferito di aver temuto per la propria incolumità, di essersi spaventata e di aver rilasciato il certificato così come preteso dagli imputati per fare in modo che questi lasciassero quanto prima lo studio medico.

Entrambi gli imputati sono da ritenere colpevoli per l'ascritto reato. In particolare, oltre al materiale autore della condotta (il compagno), c'è anche la responsabilità della donna, la quale lo ha portato ad intervenire con l'espressa finalità di ottenere l'intimidazione della dottoressa per ottenere il certificato medico.

Infine c'è il palleggio tra medici di famiglia e ospedalieri: denuncia lo Snami, gli specialisti non vogliono rilasciare i certificati: “Che i Colleghi ospedalieri e specialisti convenzionati si organizzino - tuona Angelo Testa, presidente nazionale dello Snami -. Hanno la nostra solidarietà per le varie disfunzioni del loro comparto, ma da questo momento per noi dello Snami la parola d’ordine sarà tolleranza zero nei confronti di chi continua sfacciatamente a fregarsene delle regole in tema di prescrizioni. Ci arrivano quotidianamente segnalazioni da tutta Italia di certificati di malattia, farmaci e accertamenti non prescritti direttamente dagli specialisti come è chiaramente normato ed indicato nelle disposizioni vigenti”.

“Le scuse addotte - continua Domenico Salvago, vice presidente nazionale dello Snami - sono offensive, ripetitive e stucchevoli, della serie :ho appena terminato il ricettario, non c’è linea, oppure per la prescrizione diretta c’è da aspettare molto, anche qualche ora, sino al riferimento estremo: Noi abbiamo molto lavoro, le prescrizioni le faccia fare dal suo Medico”.  Continuano comunque sacche importanti di resistenza e di non rispetto nei confronti dei Medici di famiglia con un danno anche per i pazienti che, in mancanza di una prescrizione diretta, devono fare una ulteriore attesa non dovuta dal proprio medico.

“Pretenderemo il rispetto delle norme in essere - conclude Angelo Testa - e le nostre sezioni provinciali, con coordinamento nazionale, attueranno un «libro bianco delle prescrizioni indotte» e procederanno  nel sollecitare le aziende sanitarie a censurare i comportamenti di chi perpetuerà la “telenovela delle omissioni”. Lo Snami intende anche promuovere azioni legali nei confronti di chi continua con arroganza a disattendere le regole in tema di ricettazione diretta e pretenderà dagli Ordini dei Medici provinciali sanzioni per gli iscritti che violano palesemente il codice deontologico costringendo di fatto  il medico di famiglia a fare  lo scribacchino”.

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