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Brexit, medici europei abbandonano Gb: fine di un sogno

Professione Redazione DottNet | 23/02/2017 19:04

Secondo un'indagine dell'Ass.medici britannici, si sentono incerti e indesiderati

Quattro medici europei su 10, che lavorano in Gran Bretagna, stanno pensando di lasciare il Regno Unito per via della Brexit. Molti, dopo l'esito del referendum sull'uscita dall'Unione Europea, non si sentono benvenuti e hanno incertezza sul loro futuro. Lo ha rilevato un'indagine condotta dall'Associazione dei medici britannici su un campione di 1.193 medici europei che lavorano nel Regno Unito.

Insomma le cose vanno male  nel Regno Unito e per qualcuno le nuvole nere si stanno facendo sempre più turbolente  nel clima della Brexit. E così le inquietudini crescono fra gli italiani di Londra, dai professionisti agli studenti ai freelance.

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Fra i tantissimi 'young professionals' italiani, da quelli della City ai colossi del marketing, l'entusiasmo per Londra sembra scemato, e ora domina l'incertezza.

Tuttavia l’idea che il servizio sanitario nazionale (National Health Service, NHS)  possa diventare «autosufficiente» è una promessa politicamente astuta, ma appare una pia illusione: senza medici europei (molti italiani),  e infermieri da tutto il pianeta, gli ospedali britannici chiuderebbero domani. Jeremy Hunt,  segretario di Stato per la Sanità, spera di poter «rimpiazzare i medici stranieri con talenti britannici dopo Brexit». Sarebbe interessante sapere quanti, quando. E come. Il Regno Unito dipende dai medici stranieri più di ogni altro Paese europeo: 36 per cento (dato OCSE).

Intanto corre la paura fra i tanti connazionali freelance  trasferiti nella capitale britannica in cerca di fortuna, con molti che sognano già di fuggire altrove, di tornare in Italia o in un altro Paese europeo.


    E' così emerso che il 42% sta pensando di lasciare il Paese, e un altro 23% si sente poco sicuro. Tra gli operatori sanitari del Servizio sanitario inglese, quasi 60mila provengono da paesi dell'Area economica europea, di cui 10.267 medici (pari al 6,6% della forza lavoro medica del Regno Unito).
    ''Molti medici europei si sentono indesiderati e incerti sul diritto che avranno di vivere e lavorare qui dopo la Brexit'', spiega Mark Porter, presidente dell'associazione. Ma un esodo degli operatori sanitari europei sarebbe un ''disastro per il nostro Servizio sanitario, che è già al punto di rottura e sta affrontando una carenza di professionisti insostenibile'', aggiunge.

E' "molto preoccupante che stiano pensando di andarsene - prosegue Porter -. Tanti ci hanno detto che si sentono meno impegnati a lavorare qui e poco apprezzati dal Governo''. Porter chiede alla premier Theresa May di dare certezze sul loro futuro nel Regno Unito ai professionisti europei. Il segretario alla Salute, Jeremy Hun, ha detto che il Servizio sanitario britannico dovrebbe formare e assumere più medici locali, dopo che il Regno Unito lascerà l'Europa, e promesso di aumentare i posti delle facoltà di medicina del 25% dal 2018.    ''Medici e infermieri stranieri formano una parte cruciale del nostro sistema sanitario e apprezziamo immensamente il loro contributo, ma vogliamo dare più chance agli studenti locali di essere dottori'', ha detto un portavoce del ministero della Salute.

Meno arrivi - almeno dai Paesi dell'Europa occidentale, Italia inclusa - e più partenze. C'è anche un po' di effetto Brexit nei dati sul flusso migratorio in Gran Bretagna diffusi oggi dall'Ons, l'Ufficio nazionale delle statistiche, e aggiornato al settembre 2016: vale a dire a dopo il primo impatto di un intero trimestre successivo al referendum del 23 giugno che ha sancito il 'no' all'Ue. Una cifra salta subito agli occhi e fotografa il calo dell'immigrazione netta - compresa quella giovanile e della popolazione studentesca - al livello minimo dal 2014. Con un saldo di 273.000 persone in più.

Ben oltre la soglia massima dei 100.000 ingressi all'anno vagheggiata dai governi conservatori, ma se non altro sotto quota 300.000 per la prima volta da parecchio tempo. In realtà non si tratta tanto di una diminuzione dei 'viaggi della speranza' nel regno di Elisabetta, quanto di un consistente aumento delle retromarce di chi quella speranza ha visto ormai delusa. Come pure dell'addio all'isola di un numero crescente di sudditi di Sua Maestà che preferiscono attraversare la Manica in direzione del continente (o magari l'oceano verso nuovi mondi) e cambiare aria. Le differenze rispetto al passato recente, ad ogni buon conto, appaiono rilevanti. Il saldo si attesta a un incremento inferiore di quasi 50.000 individui ai 12 mesi precedenti.

A bussare alle porte del Paese sono stati circa 525.000 stranieri e 71.000 britannici di ritorno. Dall'Ue, ufficialmente, ne sono giunti 268.000, con un rallentamento dai Paesi più 'ricchi', come Italia o Francia, ma con un picco senza precedenti di bulgari e romeni (74.000 in più, in totale), avviati ad avvicinarsi ai numeri dei polacchi, la maggiore comunità di origine europea in assoluto. Dagli Stati non Ue sono sbarcati invece circa 250.000 esseri umani. Sull'altro piatto della bilancia cresce peraltro il peso di coloro che alle bianche scogliere di Dover hanno fatto 'ciao ciao': se ne stimano non meno di 323.000, 26.000 in più del 2015, suddivisi fra 103.000 cittadini ripartiti verso Stati dell'Ue, 93.000 dal resto del mondo e ben 128.000 britannici. L'Ons avverte che è troppo presto per ipotizzare conseguenze "di lungo termine" su questi trend legate al divorzio da Bruxelles. Ma in una prima analisi delineata per la Bbc da Dominc Casciani è proprio il fenomeno delle partenze a essere evidenziato come segnale di novità, pur senza escludere un impatto solo congiunturale, frutto di "fluttuazioni stagionali", per esempio per gli studenti.

Intanto, si osserva come il ridimensionamento parziale delle ondate di arrivi da alcuni aree europee sia compensata dal boom dei migranti dell'est, innescato dal timore che le regole più restrittive evocate dal governo May a Brexit attuata - quando la Gran Bretagna riprenderà "il pieno controllo dei suoi confini", secondo la vulgata corrente di brexiter e affini - possano concentrarsi in futuro proprio su di loro: più poveri, più 'lontani', oltre che meno qualificati in una percezione collettiva spesso semplicistica. E pur tuttavia indispensabili a far fronte ai buchi, sempre più larghi, d'un mercato del lavoro che in alcuni settori non sembrano certo destinati a poter essere colmati presto con manodopera isolana. Come giusto martedì e' stato costretto ad ammettere dall'Estonia il ministro per la Brexit in persona, David Davis.

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