Il 14% delle donne con cancro al seno muore per disorganizzazione
In 6 regioni italiane i pazienti colpiti dal cancro guariscono di più rispetto al resto d'Italia. Sono le regioni che hanno realizzato pienamente le Reti oncologiche. Si tratta delle 'virtuose' Toscana, Piemonte, Veneto, Lombardia, Trentino e Umbria. Al Sud, invece, le Reti sono ancora in pratica inesistenti. A fare il punto un convegno nazionale a Roma organizzato da 'Periplo', associazione che riunisce i maggiori oncologi italiani.
In particolare, in Toscana la sopravvivenza a cinque anni raggiunge il 56% fra gli uomini e il 65% fra le donne, in Veneto il 55% (uomini) e il 64% (donne) e in Piemonte il 53% (uomini) e il 63% (donne). Già da 2 anni, spiega il vice presidente Periplo Gianni Amunni, "il ministero della Salute ha emanato delle linee guida per la realizzazione delle Reti oncologiche regionali e c'è l'obbligo delle Regioni di recepire tale raccomandazione. Ad oggi, però, a parte le Regioni già attive, in molte altre mancano ancora le delibere di recepimento".
In pratica, chiarisce, "la Regione individua la Rete come modello oncologico organizzativo e ne nomina direzione e coordinamento. A questo punto, i professionisti degli ospedali sono chiamati ad operare appunto in rete ed il paziente, entrando in una struttura, deve essere guidato nel percorso da seguire, evitando ritardi o che il malato debba girare come una pallina da un centro all'altro. Inoltre, la multidisciplinarietà diventa centrale e rilevabile nella stessa cartella clinica del paziente". I vantaggi delle Reti sono chiari: i pazienti possono accedere alle cure migliori senza spostarsi dal proprio domicilio con una uniformità di trattamenti sul territorio ed evidenti risparmi per il sistema.
È "necessario però evitare che i percorsi assistenziali obbediscano solo a logiche di tipo amministrativo e gestionale, penalizzando o minimizzando la qualità dell'assistenza - spiega Pier Franco Conte, presidente 'Periplo' e coordinatore tecnico-scientifico della Rete Oncologica Veneta". Un altro rischio concreto, conclude, "è che le Reti elaborino percorsi assistenziali disomogenei fra le varie Regioni. La vera sfida è saper coniugare umanizzazione, innovazione e sostenibilità".
"Il 14% delle donne italiane con tumore al seno oggi muore perchè il percorso di cura non è ottimale o adeguato, o perchè si arriva tardi alla cura o agli esami da eseguire per problemi organizzativi, in mancanza di una Rete oncologica che possa guidare la paziente". Ad affermarlo è l'oncologo Oscar Bertetto (nella foto), segretario dell'associazione 'Periplo' e direttore del Dipartimento Interregionale Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d'Aosta.
"Si evince infatti dai Registri Tumori - sottolinea Bertetto in occasione del convengo nazionale promosso da 'Periplo' per fare il punto sull'attuazione delle Reti oncologiche - che c'è una grande differenza nei tassi di sopravvivenza tra i pazienti oncologici delle diverse Regioni, organizzate in modo differente". Le Reti, infatti, rileva, "per i pazienti sono come la rete del circo sotto i trapezisti: in caso di caduta evita il peggio. Ma perché funzioni bisogna che sia stesa prima dell'esercizio e che non abbia buchi. Quindi la Rete oncologica, perchè sia efficace, deve prendere in carico il malato dall'inizio del percorso e deve coprire tutto il territorio".
"L'elaborazione di Percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali (PDTA) condivisi - sottolinea inoltre Francesco Cognetti, direttore Oncologia Medica dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e presidente della Fondazione 'Insieme Contro il Cancro - e la loro applicazione nell'ambito di reti assistenziali codificate rappresenta una concreta risposta al difficile equilibrio fra innovazione e sostenibilità. E' però fondamentale che questo processo non sia 'subìto' dai clinici e dai pazienti, che anzi dovrebbero rappresentare gli attori di questi cambiamenti"
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