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Il calo dell'udito può aumentare il rischio di demenza senile

Otorinolaringoiatria Redazione DottNet | 27/06/2017 12:22

Se n'è discusso nel corso del congresso mondiale degli otorini: dai 'big data' arriva la soluzione

Il calo dell'udito legato all'età può incrementare fino a tre volte il rischio di sviluppare una demenza senile. Lo afferma uno studio francese pubblicato sul Journal of the Alzheimer Association. Attorno a questo e ad altri studi simili europei e americani si è discusso oggi a Parigi in un simposio del Congresso Mondiale di Otorinolaringologia (Orl), promosso dal Centro Studi e Ricerche (Crs) Amplifon, a cui hanno partecipato alcuni tra i massimi esperti europei.  

Sono studi che hanno come capostipite l'epidemiologo americano Frank Lin della Johns Hopkins University che, seguendo per 12 anni oltre 600 anziani aveva scoperto che il deficit uditivo si associava a un successivo deficit cognitivo. Uno studio recente pubblicato su Plos One mostra su 155 mila soggetti over 65 come un deficit uditivo bilaterale si associ a un incremento del 43% di probabilità di sviluppare demenza. In Italia, un lavoro di Alessandro Martini, dell'Università di Padova, condotto su 125 persone e pubblicato su Audiology and Neurotology dimostra come l'applicazione di una protesi acustica o di un impianto coclear (che si applica ai casi più gravi di ipoacusia) possa comportare un "significativo miglioramento cognitivo".  

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Tutto questo però non basta per avere la certezza di poter almeno ritardare la demenza con un apparecchio acustico, cosa che oltre a migliorare la qualità di vita di molte persone (ritardarlo di un solo anno potrebbe far calare la prevalenza globale della demenza di oltre il 10% già nel 2050) farebbe risparmiare enormi risorse sanitarie, posto che in Europa l'impatto economico annuale delle malattie cerebrali supera i 790 miliardi di euro (150 mld quello dei tumori).  

Sarà l'utilizzo dei big data - secondo Andrea Peracino (Fondazione Lorenzini), nel corso del simposio parigino - a dare una valutazione definitiva? I big data sanitari sono quei dati generati da ciascuno ogni volta che si richiede una prestazione sanitaria e la cui analisi incrociata porterebbe a un quadro complessivo completo della salute dei cittadini, comprese sicure relazioni fra ipoacusia, protesi acustiche e declino cognitivo.    Al simposio è intervenuto anche Alessandro Spina dell'Agenzia regolatoria europea del farmaco (EMA), secondo cui l'Ema attualmente basa i suoi giudizi su dati reali come quelli deei registri dei pazienti o su cartelle sanitarie elettroniche, ma la sfida degli anni futuri sarà anche quella di aprire ai 'big data'. 

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