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Sia In Movimento: le curiosità

Urologia Redazione DottNet | 28/03/2018 17:57

Prof. Bruno Giammusso
Milano Marittima, 25 - 27 maggio 2017

Il Prof. Bruno Giammusso, Direttore scientifico della Società Italiana di andrologia, è stato uno dei relatori all'ultimo Congresso della Sia, in particolare sull'infertilità.

E su questi temi abbiamo posto alcune domande allo specialista catanese.

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  1. In occasione del Congresso Sia in movimento c’è stato un suo interessante intervento sulle indicazioni pratiche per l’utilizzo della follitropina umana. Quali sono i benefici per l’infertilità?

Nel corso del 41° Congresso nazionale della Società Italiana di Andrologia abbiamo voluto dedicare uno spazio di approfondimento al ruolo del partner maschile nell’infertilità di coppia. In particolare, abbiamo messo a fuoco la gestione della coppia infertile nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, evidenziando come l’approccio clinico attuale si concentri quasi esclusivamente sulla partner femminile: è la donna che si sottopone al carico di esami, monitoraggi e soprattutto terapie farmacologiche in preparazione alla riproduzione assistita, mentre al partner maschile si richiede generalmente la semplice raccolta del liquido seminale. Le evidenze di letteratura scientifica ci segnalano invece che la qualità spermatica è decisiva per il successo di una tecnica di procreazione assistita, e che trattare il maschio con le terapie adeguate, e la follitropina in particolare, consente di incrementare significativamente i tassi di gravidanza. Le acquisizioni più recenti in tema di seminologia ci hanno trasmesso un messaggio importante: la valutazione del potenziale fecondativo di un uomo non può essere affidato al solo spermiogramma. Accanto ai dati tradizionali, quali numero, motilità e morfologia degli spermatozoi, esistono altri parametri di valutazione. Tra questi, che definiamo “parametri non convenzionali”, spicca la “frammentazione del DNA”, uno stato di alterazione del corredo genetico che può compromettere la capacità dello spermatozoo a fertilizzare l’ovocita, o interferire con la salute dell’embrione. A queste condizioni di recente individuazione, capaci di rendere inefficaci anche le tecniche di riproduzione assistita, si rivolge la nostra attenzione quando raccomandiamo un intervento terapeutico anche sul partner maschile della coppia.

  1. La disfunzione erettile ha sicuramente un impatto negativo sull’identità maschile. In che misura il problema diventa determinante per la salute della coppia?

Le coppie che abbiamo aiutato nel corso degli anni grazie alle terapie oggi disponibili, ci hanno insegnato che la disfunzione erettile non è solo la difficoltà a portare a termine un rapporto sessuale soddisfacente, ma è molto di più. Per l’uomo una valida erezione ha un forte valore simbolico, significa efficienza, forza, sicurezza di sé. La disfunzione erettile dunque altera profondamente l’autostima di chi ne è affetto, rendendo gli uomini insicuri, e alimentando un senso di inadeguatezza che si manifesta anche al di fuori dell’attività sessuale. Il paziente con problemi di erezione vive infatti un disagio esistenziale, anche nei rapporti di lavoro e nelle relazioni sociali. La partner del paziente affetto da disfunzione erettile è anch’essa profondamente ferita dal problema, del quale tende a considerarsi causa per scarsa attrattività nei confronti del compagno. “Non gli piaccio più” è la conclusione più frequente, e il disagio della donna non è in questi casi meno doloroso di quello del paziente.

  1. Il ruolo del medico davanti ad un problema di disfunzione erettile va sicuramente oltre la prescrizione del farmaco. Quanto ritiene importante indagare sulle necessità del paziente affetto da questo problema?

Affrontare un problema di disfunzione erettile significa anzitutto analizzare i bisogni dei pazienti e delle coppie, e comprenderne le aspettative in termini di terapia. Oggi disponiamo di farmaci efficaci e ben tollerati, in grado di fornire una valida soluzione al problema in oltre l’80% dei casi. Sono però molecole che si differenziano per le loro caratteristiche farmacologiche, e che andrebbero personalizzate in base alle specifiche esigenze, alla frequenza dell’attività sessuale, alla necessità di nascondere al partner l’assunzione del farmaco, all’eventuale consumo di pasti o bevande alcoliche in prossimità temporale al rapporto, eccetera. Dedicare dunque tempo al dialogo con il paziente è una condizione irrinunciabile al successo della terapia, perché ogni paziente ha una sua storia, e ogni problema richiede una soluzione “personalizzata”.

  1. I problemi di disfunzione si riflettono anche sul partner provocando a volte crisi nella coppia spesso insormontabili. E’ così?

Sì, è così, e una lunga serie di dati provenienti da studi clinici lo confermano. Quale altra patologia colpisce una persona, ma produce conseguenze anche sulla persona che gli sta accanto? Diversi lavori scientifici hanno misurato il grado di disagio e le difficoltà sessuali delle compagne di pazienti affetti da disfunzione erettile, dimostrando che in questi casi si soffre in due, e in egual misura, per lo stesso problema. Ed è anche dimostrato che i benefici di una cura efficace della disfunzione erettile si manifestano in entrambi i partner della coppia, in termini di migliorata qualità di vita. La partner del paziente è quindi un’alleata preziosa per il medico che affronta una disfunzione sessuale maschile: coinvolgerla al momento della consulenza e nella gestione terapeutica si accompagna sempre a migliorata aderenza del paziente alla terapia e a maggiori possibilità di successo delle cure.

  1. Quali sono le terapie più efficaci e con minori controindicazioni?

La vera rivoluzione terapeutica della disfunzione erettile si identifica con i farmaci inibitori della PDE5, una classe di molecole caratterizzate dalla capacità di rilassare selettivamente il tessuto muscolare liscio dei corpi cavernosi del pene, e di farlo in maniera naturale solo in presenza di uno stimolo erotico. Una risposta fisiologica, dunque, ma anche priva di effetti collaterali significativi. E’ proprio la selettività di azione degli inibitori della PDE5 che riduce l’entità degli effetti secondari di questi farmaci in altri distretti corporei. Cefalea e vampate di calore sono gli effetti più comuni, assolutamente innocui e per lo più di modesta entità. La gestione delle diverse molecole, e dei rispettivi dosaggi, che spetta sempre al medico, consentirà comunque di ottimizzare efficacia ed effetti secondari, quando questi si dovessero presentare. L’ottimo profilo di tollerabilità non esime dal rispetto scrupoloso delle controindicazioni, ed è anche per questo che la esclusiva competenza prescrittiva del medico non può ammettere eccezioni.

A.N: L.IT.COM.10.2017.2943

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