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Endometriosi, questa sconosciuta. Una diagnosi difficile

Ginecologia Fiammetta Trallo | 19/01/2018 14:29

Una diagnosi precoce ne riduce la progressione, preserva la fertilità e di conseguenza migliora la qualità di vita.

Con l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza del 2017, l’endometriosi è finalmente entrata nell’elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all’esenzione nei casi più severi, ovvero quelli di terzo e quarto grado. Pertanto, visite di controllo ed esami strumentali per questa malattia sono ora a carico del SSN, mentre le terapie per ridurre la sintomatologia dolorosa (trattamenti ormonali o analgesici) rimangono a carico delle pazienti. La malattia colpisce il 10% delle donne europee in un età compresa tra i 15 e 49 anni. Solo in Italia, si stima che siano circa 3 milioni le donne affette, addirittura 1 su 2 nella fascia di età che va dai 29 ai 39 anni, mentre nel Regno Unito l’endometriosi rappresenta la seconda patologia ginecologica benigna dopo i fibromi uterini.

 Nonostante sia una malattia benigna, l’endometriosi ha tuttavia costi personali e sociali spesso elevati tra scarsa qualità della vita e rischio infertilità oltre a giornate di lavoro perse. In tutt’Europa si calcola che ammonti a 30 miliardi di euro la spesa per congedi lavorativi a causa della sintomatologia dolorosa endometriosi dipendente. Il dolore, spesso acuto e aspecifico è il sintomo più caratteristico anche se in molti casi si manifesta solo in concomitanza delle mestruazioni. Può passare inosservato per anni, ritardando invece la diagnosi di quella che è una condizione patologica cronica e spesso invalidante se si diffonde a tutto l’addome, alla schiena, all’intestino o alla vescica. Per non parlare del dolore durante o dopo un rapporto sessuale. L’altro risvolto negativo è l’infertilità tanto che circa il 30-40% delle donne affette deve ricorrere alla PMA. Molto spesso si tratta di donne che scoprono di avere l’endometriosi solo durante l’esecuzione di accertamenti eseguiti dopo anni di ricerca di una gravidanza che non arriva.

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Oltre la sterilità, l’endometriosi può predisporre alla menopausa precoce, un problema che di base interessa l’1% delle donne, percentuale che sale all’8% nelle donne affette dalla malattia. Le cause sono molteplici e spesso imputabili agli interventi chirurgici, anche ripetuti, di asportazione di cisti ovariche endometriosiche o di un intero ovaio se sede di una grossa cisti, che comportano una significativa riduzione del patrimonio follicolare ovarico.

Si potrebbe immaginare che la menopausa, precoce o fisiologica che sia, può essere considerata come un gold standard terapeutico di questa patologia cronica ormone mediata associata al ciclo mestruale. Il calo estrogenico peri e post menopausale interrompendo le mestruazioni, per molte donne, diventa risolutivo in primis dell’intensa dismenorrea e poi delle altre manifestazioni dolorose associate. Ben vengano le vampate, l’irritabilità e l’insonnia se il dolore sopportato per anni è sparito. Purtroppo, non è sempre così in quanto a stadi avanzati, i sintomi non solo persistono ma possono non scomparire mai del tutto. In rari casi, poi, ad alcune donne l’endometriosi rimasta silente per tutta la vita fertile, viene paradossalmente diagnosticata proprio in premenopausa.

Il sospetto clinico di endometriosi, anche nelle adolescenti, deve essere posto tutte le volte che si manifestano uno o più dei seguenti sintomi:

  • dolore pelvico cronico,

  • intensa dismenorrea con ripercussioni rilevanti sulle attività quotidiane,

  • dolore pelvico durante o dopo i rapporti sessuali,

  • sintomi gastrointestinali associati alle mestruazioni o anche indipendenti dal ciclo, in particolare la peristalsi dolorosa,

  • sintomi urologici associati alla minzione o ciclici, come ematuria o dolore minzionale,

  • infertilità, soprattutto se associata ad uno o più dei sintomi precedenti.

Sono le raccomandazioni delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (Nice), di cui la Fondazione Gimbe ne ha pubblicato la sintesi italiana il 18.11.2017, consultabile sul sito www.evidence.it/endometriosi.

Queste linee guida forniscono raccomandazioni cliniche per la diagnosi e il trattamento dell’endometriosi: segni e sintomi, criteri di appropriatezza dei test diagnostici come ecografia, risonanza magnetica e laparoscopia, consulenze specialistiche e trattamenti (analgesici, terapia ormonale, chirurgia). Sono rivolte a tutti: Medici di Medicina Generale, consultori, servizi ambulatoriali e ospedalieri di Ginecologia e centri specializzati per la cura dell’endometriosi.

Secondo Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, « la prima grande sfida nei confronti dell’endometriosi è diagnosticare una malattia spesso non sospettata, identificando precocemente segni e sintomi, in particolare nelle adolescenti. Troppe donne rimangono ancora senza diagnosi per molti anni, con peregrinazioni tra consulti e indagini diagnostiche non sempre appropriate». «L'approccio diagnostico-terapeutico – precisa Cartabellotta - presenta ampi margini di miglioramento: in particolare, riconoscere l’esordio clinico per una diagnosi precoce, informare adeguatamente le donne sulle possibili opzioni terapeutiche e costruire una rete integrata di servizi sono obiettivi irrinunciabili».

La Regione Piemonte ha già risposto all’appello. Il 12 gennaio u.s., ha istituito l’Osservatorio regionale sull’endometriosi, composto da esperti, medici, psicologi e rappresentanti delle associazioni impegnate nel sostegno alle donne affette da endometriosi. L’Osservatorio avrà il compito di predisporre linee guida per il percorso diagnostico e terapeutico e per il controllo periodico delle pazienti, di elaborare programmi per la formazione e l’aggiornamento del personale medico, di proporre campagne di sensibilizzazione ed educazione sanitaria, di individuare iniziative di prevenzione delle complicazioni legate alla malattia.

 Indagini diagnostiche

 Il gold standard è la laparoscopia che al tempo stesso diagnostica la malattia, individua le localizzazioni dei focolai endometriosici anche profondi e contestualmente li rimuove. L’ecografia transvaginale, o pelvica quando non è possibile eseguire l’esame per via vaginale, se condotta con estrema accuratezza è in grado di identificare anche localizzazioni profonde della malattia. L’accuratezza, in presenza di un alto indice di sospetto, dipende da una corretta tecnica diagnostica “Step by Step” eseguita da ginecologo ecografista esperto. Da qui l’importanza della visita ginecologica bimanuale e anche dell’anamnesi che rappresenta il sintomo guida.

1° Step: Esame di routine con valutazione utero e annessi

2° Step: Ricerca “soft markers”_ dolore alla pressione mirata con la sonda vaginale, anomala posizione ovaia e mobilità ovarica, aderenze e pseudocisti peritoneali

3° Step: Valutazione “sliding sign”, ovvero la mancanza di scorrimento dell’intestino rispetto alla parete posteriore dell’utero, predittivo per gli impianti profondi rettali.

4° Step: Valutazione del comparto anteriore (vescica, regione utero-vescicale, ureteri e reni) e posteriore della pelvi (setto retto-vaginale, vagina, legamenti uterosacrali, retto, giunzione retto-sigma e sigma).

 Presso il Centro di Fisiopatologia della Riproduzione dell’Ospedale S.Orsola di Bologna, viene utilizzata anche l’Ecografia transperineale 3D/4D per lo studio delle disfunzioni perineali sia per valutare l’eventuale utilità della fisioterapia per un trattamento riabilitativo dei muscoli pelvici sia per controllare successivamente l’efficacia della riabilitazione eseguita. L’ecografia transperineale consente la valutazione morfologica e dinamica dell’area dello iato pelvico. In modalità 3/D si valuta il muscolo elevatore dell’ano e in modalità 4/D la sua capacità e simmetria di contrazione, la capacità di distensione e la simmetria di distensione, la presenza di comando invertito o assente e la presenza di dissenergia (sinergia antagonista) durante il Valsalva.

In donne con segni e sintomi tipici della malattia, la RM Pelvica non è la scelta diagnostica di primo livello. La sua utilità è diagnosticare impianti profondi dell’intestino, vescica e ureteri. Il dosaggio del Ca-125 sierico non è diagnostico della malattia. Valori > 35 IU/mL possono essere suggestivi ma l’endometriosi può essere presente anche con valori di Ca-125 nella norma. Il trattamento iniziale prevede l’utilizzo di analgesici o contraccettivi orali combinati assunti in regime continuo, quindi senza pausa, se la donna non è alla ricerca della gravidanza. La terapia ormonale in regime continuo pur non essendo citoriduttiva, ovvero non azzera le lesioni che possono riprendere alla sospensione, induce un ipoestrogenismo che porta alla soppressione dell’ovulazione con induzione di amenorrea che induce l’atrofia delle cellule endometriali sia ectopiche che eutopiche con effetti antiinfiammatori. La soppressione della sintesi di FSH/LH e ormoni ovarici induce una pseudodecidualizzazione dell’endometrio senza induzione dello stato di pseudomenopausa. La scelta dell’estroprogestinico: anello, cerotto o pillola dipende dal gradimento della donna.

Nei casi in cui l’assunzione di estrogeni sintetici è controindicata, la terapia ormonale può essere a base di solo progestinico: orale, iniettiva, impianto sottocutaneo o con LNG IUS, quest’ultimo particolarmente efficace nell’adenomiosi. Anche se nessun principio attivo o dosaggio è risultato nettamente migliore di un altro, il dienogest 2 mg in regime continuo ha come indicazione terapeutica il trattamento dell’endometriosi e della sua sintomatologia dolorosa. Tuttavia, non essendo un anticoncezionale, và prescritto con cautela in donne che non stanno cercando la gravidanza anche se un eventuale concepimento è altamente improbabile con un uso corretto. E comunque la donna và invitata ad usare altri anticoncezionali non ormonali.

Poiché l’endometriosi è una malattia cronica la durata non può che essere a lungo termine con interruzione quando si cerca la gravidanza o in menopausa conclamata. Negli altri casi, la sospensione della terapia ormonale riduce l’effetto protettivo acquisito. La terapia ormonale và tuttavia proseguita dopo l’intervento fino al momento in cui si decide di iniziare la ricerca della gravidanza. L’American Society for Reproductive Medicine (2014) raccomanda di massimizzare l’uso del trattamento medico ed evitare dove possibile l’intervento chirurgico soprattutto ripetuto. L’approccio terapeutico conservativo mira a risolvere il dolore e favorire la ricerca della gravidanza. L’età è dirimente ma la regola è di non fidelizzarsi a una sola terapia.

  Bibliografia

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