Fondamentali sette fattori, il più importante è l'inattività fisica
In Europa tre milioni di casi di Alzheimer e quasi 900.000 di demenza vascolare potrebbero dipendere da sette fattori di rischio legati allo stile di vita, quali diabete, ipertensione, obesità, inattività fisica, depressione, fumo e basso livello di istruzione. Lo segnalano Flavia Mayer e Nicola Vanacore, dell'Istituto superiore di sanità (Iss), in uno studio pubblicato sulla rivista Dementia and Geriatric Cognitive Disorders. L'inattività fisica è il fattore maggiormente associato all'Alzheimer, con un numero di casi attribuibili pari a 1,4 milioni, superiore rispetto a quello degli altri fattori. Per la demenza vascolare invece il fattore di rischio più importante è la depressione. I sette fattori di rischio però agiscono congiuntamente e sinergicamente, quindi anche eliminandone uno con la prevenzione, rimangono gli altri.
Riprendendo i calcoli di una precedente ricerca condotta nel 2014, i ricercatori dell'Iss hanno tradotto queste stime anche a livello italiano, servendosi dei dati raccolti con il programma Passi del ministero della Salute. Hanno così calcolato che in Italia ci sarebbe una riduzione di quasi il 7% dei casi Alzheimer e demenza vascolare agendo su questi fattori di rischio. Data l'associazione tra l'inattività fisica e Alzheimer, l'impatto dei sette fattori di rischio insieme è più alto nelle Regioni dove maggiore è l'inattività fisica. Nella provincia di Bolzano la prevalenza di tale fattore è minima, mentre in Basilicata è massima. "Le strategie per la prevenzione congiunta dei sette fattori di rischio - concludono i due esperti - produrrebbero una sostanziale riduzione del numero di casi di Alzheimer e demenza vascolare, in particolare con la promozione dell'attività fisica".
Lo indica una ricerca della Monash University di Melbourne, pubblicata su Preventive Medicine Report
Alessandro Padovani: “Per l’Alzheimer si riduce l’incidenza e aumenta la prevalenza. Gli ottantenni di oggi sono meno colpiti, ma l’invecchiamento della popolazione porta in assoluto a un incremento di pazienti”
La variante protettiva identificata dallo studio si trova in un gene che produce fibronectina
Lo rivela uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Case Western Reserve University School of Medicine, pubblicato su Nature Neuroscience
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