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Alzheimer, diagnosi precoce possibile ma le cure sono lontane

Neurologia Redazione DottNet | 19/09/2018 19:27

Gli italiani che soffrono di demenza sono 1.241.000 e di questi 600.000 hanno avuto una diagnosi di Alzheimer

Dimenticano cosa hanno fatto o devono fare, non riconoscono più i loro cari: gli italiani che soffrono di demenza sono 1.241.000 e di questi 600.000 hanno avuto una diagnosi di Alzheimer. Individuare il prima possibile la malattia è fondamentale per affrontare al meglio, e oggi è anche possibile. Ma la conoscenza in materia è ancora scarsa, una cura ancora lontana e tante le difficoltà per le famiglie.

Nel mondo i malati di Alzheimer sono 50 milioni e ogni 3 secondi una persona ne riceve la diagnosi. In Italia, l'assistenza di questi pazienti cronici è in 8 casi su 10 a carico delle famiglie. Per alleviare il loro peso la diagnosi precoce è decisiva, spiega Orazio Zanetti, primario del reparto Alzheimer dell'Irccs Fatebenefratelli di Brescia, "perché permette di accoglierli in programmi di assistenza che consentano di sentirsi meno soli di fronte alla malattia". Ma anche perché "permette di dare avvio a un trattamento farmacologico con l'intento di rallentare il processo degenerativo di uno, due o tre anni".

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Per farlo oggi si può contare su procedure basate su un accurato esame del paziente, tomografia, risonanza magnetica ed esami del sangue. Ma tecniche sempre migliori sono oggetto di 25 progetti di ricerca della rete di giovani ricercatori sostenuti da Airalzh Onlus e che utilizzano biomarcatori specifici, basati ad esempio sulla saliva, e di test specifici che analizzano il linguaggio. Mentre si prosegue nella ricerca di terapie efficaci per far regredire la malattia, gli studiosi continuano ancora ad indagare anche sulle cause.

L'ultimo studio, appena pubblicato sul BMJ, ribadisce il ruolo dello smog: vivere nelle aree cittadine più inquinate aumenta del 40% il rischio di demenza rispetto ad abitare in aree urbane poco trafficate. Ad occuparsi del tema però non è solo la scienza. Di fronte questa malattia occorre un approccio che aiuti "medici e familiari a riconsiderare quell'unicità e quella peculiarità di ogni singolo essere umano che, in chi ha l'Alzheimer, pare smarrita o definitivamente perduta", sottolinea mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Per migliorare la qualità di vita di queste persone bisogna "cambiare la modalità di assistenza", suggerisce la Federazione Alzheimer Italia. Ovvero, chiarisce la presidente Gabriella Salvini Porro, "osservare e ascoltare il malato, conoscere i suoi bisogni, i suoi valori, i suoi interessi".

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