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Tumore della prostata: con enzalutamide maggiore efficacia nel prevenire le recidive a 5 anni

Farmaci Redazione DottNet | 25/10/2023 10:55

Ugo De Giorgi: “Trattamento più efficace che tutela le funzioni sessuali e permette una buona qualità di vita”

I pazienti colpiti da recidiva di tumore della prostata possono sempre più giovarsi dei benefici del farmaco anti-androgeno enzalutamide. Questa nuova terapia si dimostra, infatti, più efficace, non deteriora la qualità di vita del paziente e, soprattutto, non compromette le funzioni sessuali evitando il ricorso alla castrazione farmacologica che rappresenta uno dei trattamenti standard attualmente utilizzati. I risultati, dimostrati dallo studio internazionale EMBARK, sono stati pubblicati, questo mese, sulla più prestigiosa rivista clinico-scientifica a livello mondiale, The New England Journal of Medicine,  e presentati al Congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO) che si svolge in questi giorni a Madrid.  

"In quasi il 40% dei casi il carcinoma prostatico tende a ripresentarsi anche a distanza di 10 anni - sottolinea Ugo De Giorgi, Direttore Oncologia Clinica e Sperimentale in Terapie innovative ed alte dosi dell’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori ‘Dino Amadori’ IRST di Meldola,  unico italiano tra i firmatari del lavoro -. Da qui l’esigenza di farmaci innovativi da somministrare per un lungo periodo di tempo a pazienti spesso non più giovanissimi. Enzalutamide è un inibitore del recettore degli androgeni e agisce bloccando l'attività del testosterone. Può limitare il ricorso alla castrazione farmacologica che, per quanto efficace, provoca effetti collaterali con importanti riflessi soprattutto nell’ambito della sfera sessuale".

Il progetto EMBARK ha coinvolto complessivamente 1.068 uomini colpiti da tumore alla prostata con rischio di recidiva, in cura presso 244 diversi centri di 17 nazioni. In Italia ha visto in prima linea l’IRST ‘Dino Amadori’ IRCCS, impegnato nel comitato dello studio, nell’arruolamento dei pazienti nel nostro Paese e nel coordinamento delle attività scientifiche. Lo studio s’inserisce, arricchendolo, nell’ampio ventaglio di offerte tereapeutiche per pazienti affetti da cancro alla prostata, in tutti i suoi stadi: dalla radioterapia alla terapia ormonale ai trattamenti avanzati con farmaci radiometabolici. L’utilizzo dell’approccio con enzalutamide andrebbe ad aggiungersi a favore dei pazienti che hanno alto rischio di recidive.

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I partecipanti allo studio sono stati divisi in tre gruppi: 355 pazienti sono stati trattati con enzalutamide in aggiunta a una terapia che inibisce la produzione di testosterone (deprivazione androgenica con leuprolide), 358 con placebo più terapia di deprivazione androgenica e 355 solo con enzalutamide. "I nuovi dati, presentati al congresso di Madrid, si basano sui patient-reported outcomes (PRO) ed evidenziano che  con la sola somministrazione del farmaco enzalutamide la maggioranza dei pazienti è riuscita a mantenere inalterata la funzione sessuale e, quindi, la libido e l’erezione - aggiunge De Giorgi -. Inoltre, il trattamento non compromette la qualità della vita complessiva e  limita sintomi frequenti come stanchezza, debolezza o disturbi urinari. Il farmaco permette benefici a lungo termine in quanto ritarda o riduce la comparsa di metastasi a cinque anni dell’80%, quando utilizzato singolarmente, e dell’87% in combinazione con leuprolide. Infine, rallenta il tempo alla progressione dei valori della proteina PSA (Antigene Prostatico Specifico) come mai avvenuto finora in questi pazienti".  

"Il nuovo studio apre prospettive estremamente interessanti nel contrasto al tumore più frequente nella popolazione maschile dei paesi occidentali - aggiunge Giovanni Martinelli, Direttore Scientifico dell’IRST ‘Dino Amadori’ IRCCS -. Si registrano solo in Italia ogni anno più di 40.500 nuovi casi per un totale di 564mila uomini che vivono con questa malattia oncologica. Gli uomini coinvolti nella ricerca internazionale presentavano una neoplasia in fase precoce, non metastatica, sensibile alla presenza di ormoni e avevano già subito trattamenti chirurgici o radioterapici. Su questo sottogruppo di pazienti si sta concentrando la ricerca scientifica che deve sempre più trovare nuove cure che siano sempre più meno invasive per i pazienti".

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