Per i pazienti affetti da Fibrosi Cistica che hanno fatto in questi ultimi anni uso di Azitromicina sono arrivati dei dati non troppo rassicuranti. Il potente antibiotico prodotto da Pfizer, autorizzato al commercio nel 2007, è correntemente impiegato in clinica in regimi di profilassi e per il trattamento di infezioni polmonari da micobatteri anche in ragione delle spiccate proprietà antinfiammatorie, le quali si sono rivelate particolarmente efficaci nel migliorare il quadro clinico generale di pazienti con fibrosi cistica. Tuttavia, stando ad uno studio recentemente pubblicato su The Journal of Clinical Investigation, il suo impiego a lungo termine potrebbe esporre i pazienti ad un rischio di non poco conto. L’uso del farmaco sembra infatti aumentare la predisposizione allo sviluppo di infezioni da micobatteri non tubercolari (NTM). Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori inglesi e americani, sotto la supervisione dei professori Andres Floto e David C. Rubinsztein del Cambridge Institute for Medical Research, parte della University of Cambridge e della professoressa Diane Ordway della Colorado State University. Tra i ricercatori che vi hanno preso parte c’è anche un italiano, il dott. Maurizio Renna, proveniente dall’Università Federico II di Napoli e dal 2007 a Cambridge in qualità di Research Associate. “L’idea dello studio – spiega il dott. Renna – è venuta dall’osservazione di alcuni dati epidemiologici che indicavano una associazione tra l’uso del farmaco e il maggiore sviluppo di infezioni da micobatteri in pazienti affetti da fibrosi cistica. Partendo da questi dati retrospettivi, che indicavano l’aumentare della predisposizione alle infezioni in chi aveva usato la terapia, anche in regime di profilassi, abbiamo cercato di identificare, con studi in vitro e in vivo, il meccanismo alla base di questo effetto. In sostanza ci siamo domandati per quale ragione l’uso del farmaco rendesse i macrofagi meno adeguati a rispondere in particolare ad un determinato tipo di infezioni batteriche”.
Il risultato ottenuto dai ricercatori è stato quello di scoprire che la causa è legata al fatto che l’azitromicina agisce in modo da bloccare l’autofagia, un meccanismo cellulare altamente conservato che consente alle cellule, quando necessario, di degradare o riciclare il proprio contenuto, come ad esempio alcuni patogeni intracellulari. In base ai risultati presentati il problema risulterebbe essere particolarmente preoccupante per quello che riguarda i micobatteri a crescita rapida, come il Mycobacterium abscessus, una specie batterica altamente patogenica in grado di sviluppare resistenza ai farmaci, che è stato utilizzata in laboratorio per infettare cellule e cavie alle quali era stato precedentemente somministrato il farmaco.
Nello specifico, i ricercatori hanno osservato che le concentrazioni di azitromicina che si raggiungono durante il normale dosaggio terapeutico possono compromettere le capacità di degradazione dei macrofagi. Di conseguenza, il trattamento con azitromicina potrebbe andare ad inibire la capacità di “killing” intracellulare dei micobatteri all'interno dei macrofagi e questo potrebbe essere la causa dell'infezione cronica con NTM osservata sperimentalmente in modelli animali. Un blocco farmacologico involontario dell’autofagia potrebbe dunque, secondo i ricercatori, predisporre i pazienti che osservano un uso prolungato del farmaco ad un aumentato rischio di infezioni da micobatteri.
Inoltre, i dati ottenuti dalle sperimentazioni in laboratorio trovano anche riscontro in alcuni studi epidemiologici: è stato infatti osservato che, in una corte di pazienti trattati a lungo termine con l’azitromicina negli ultimi cinque anni e afferenti al centro fibrosi cistica per adulti del Papworth Hospital di Cambridge, vi era stato un aumento di quelli risultati positivi a infezioni da NTM.
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