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I coaguli nel sangue uccidono una persona ogni 37 secondi

Cardiologia Redazione DottNet | 10/07/2017 18:56

Il tromboemolismo venoso è la terza malattia cardiovascolare nell'Occidente

Il tromboemolismo venoso, cioè la formazione di coaguli di sangue nelle vene uccide una persona ogni 37 secondi nel mondo occidentale. È la terza più comune malattia cardiovascolare dopo la sindrome coronarica e l'ictus, e circa il 15-20% dei casi riguarda pazienti con tumore. Questa patologia, le cui manifestazioni più comuni sono l'embolia polmonare (quella più grave) e la trombosi venosa profonda degli arti inferiori (la più frequente), ha un tasso annuale di mortalità doppio rispetto all'AIDS, al cancro al seno, alla prostata, e agli incidenti stradali combinati per anno e causa 780mila morti in Europa e negli Usa ogni anno.

In Italia si verificano 150-200 eventi nuovi eventi ogni anno per 100mila abitanti. Èquanto emerso al congresso Isth 2017 (The International Society on Thrombosis and Haemostasis) a Berlino, dove sono stati presentati i primi risultati di Garfield Vte, uno studio prospettico, multicentrico, osservazionale, un registro globale che ha coinvolto 10.874 adulti in 28 Paesi, di cui 600-700 italiani. Lo studio è iniziato nel 2014 e si concluderà nel 2020. "Il tromboembolismo venoso - spiega Walter Ageno, professore associato di medicina interna dell'Università dell'Insubria - colpisce pazienti ricoverati in ospedale che hanno fatto interventi chirurgici, donne che assumono dei contraccettivi orali e può essere una complicanza della gravidanza. Le cellule tumorali inoltre producono sostanze procaugulanti quindi favoriscono la trombosi nel meccanismo di crescita e i pazienti oncologici ricevono chemioterapici che a volte possono favorire lo sviluppo di trombosi. Un altro fattore sono i cateteri venosi".

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"La necessità di uno studio internazionale che coinvolge cinque continenti - conclude Ageno - nasce dal fatto che negli ultimi anni le possibilità terapeutiche sono aumentate e si voleva capire come sta cambiando la gestione. I primi risultati dimostrano che la metà dei pazienti prende nuovi farmaci e l'altra metà prende quelli di vecchia generazione".

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