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E' nelle acque reflue che cova la resistenza agli antibiotici

Infettivologia Redazione DottNet | 08/03/2019 16:53

Studio americano, piccole quantità di batteri possono uscire dagli impianti

E' nelle acque reflue che cova la resistenza agli antibiotici. I ricercatori della University of Southern California sono riusciti a individuare nei prodotti di trattamento delle acque, infatti, tracce di Dna resistente a questo genere di farmaci. Per Adam Smith, ricercatore che ha condotto l'analisi, "sistemi ingegnerizzati di trattamento delle acque finiscono per essere una specie di letto caldo per la resistenza agli antibiotici". La maggior parte degli antibiotici che consumiamo sono metabolizzati nel corpo.

Tuttavia, piccole quantità vengono espulse e vengono poi trasportate negli impianti di trattamento delle acque reflue. Qui trovano batteri che consumano lo scarto.  Mentre lo fanno si imbattono negli antibiotici ed esprimono geni di resistenza che riducono l'efficacia dei medicinali. Mentre il batterio mangia, si riproduce e cresce e si accumula la biomassa che, una volta trattata, viene smaltita in discarica o utilizzata come fertilizzante per l'agricoltura e per le colture di mangime per il bestiame. In uno scenario analizzato, definito dagli studiosi come "più terribile", piccole quantità di batteri resistenti agli antibiotici possono uscire dall'impianto di trattamento attraverso la membrana di filtrazione e vanno a finire nelle fonti di acqua potabile. I ricercatori hanno notato una resistenza multi-farmaco in cui i batteri avevano geni che consentivano la resistenza a più classi di antibiotici. Ritengono che ciò sia dovuto alla presenza di elementi genici chiamati plasmidi, che possono trasportare geni di resistenza per diversi tipi di antibiotici, determinando correlazioni positive tra un tipo di antibiotico e il gene di resistenza di un altro.

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Questo, secondo loro, non solo complica ulteriormente le cose, ma può essere estremamente pericoloso. A causa delle loro dimensioni estremamente ridotte (sono 1.000 volte più piccoli dei batteri) i plasmidi liberi di fluttuare possono facilmente passare attraverso il sistema di filtrazione nel processo di trattamento e uscire dagli impianti.  Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology.

fonte: Environmental Science & Technology

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