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Dalla ricerca nuove 'sveglie' per le staminali del sangue

Ematologia Redazione DottNet | 24/05/2019 14:03

Per aumentare il numero di trapianti contro linfomi e mielomi

La ricerca sta caricando nuove 'sveglie' molecolari pronte a destare le cellule staminali del sangue che poltriscono nel midollo osseo, in modo da aumentare il numero di pazienti che potranno essere sottoposti all' autotrapianto per il trattamento di linfomi e mielomi. Lo raccontano gli esperti riuniti a convegno da Sanofi Genzyme (divisione specialty care di Sanofi) per fare il punto sul presente e il futuro di questa procedura salva-vita che viene fatta usando le cellule prelevate dallo stesso paziente.

"Quasi il 10-15% delle persone candidate all' autotrapianto non riesce a mobilizzare un numero sufficiente di staminali per la procedura: bisognerebbe avere almeno 20 cellule per millimetro cubo di sangue, in modo che processando tutto il sangue corporeo due o tre volte si arrivi a raccogliere fino a 2 milioni di cellule per ogni chilo di peso corporeo da reinfondere nel paziente", spiega Francesco Lanza, direttore del Dipartimento di Ematologia all' Ospedale di Ravenna. La svolta è arrivata dieci anni fa con il trillo della prima 'sveglia' per le staminali del sangue: si tratta del farmaco plerixafor, che agisce staccando le staminali dal midollo osseo per facilitarne la migrazione nel sangue periferico. "E' stata una vera e propria rivoluzione, che ci ha permesso di portare al trapianto quasi l' 8% in più di pazienti con mieloma e il 15% in più di quelli con linfoma", sottolinea l' esperto.

"In questi ultimi anni abbiamo imparato a utilizzare plerixafor in modo sempre più efficiente nel processo di mobilizzazione delle staminali, anche nei pazienti ambulatoriali, migliorando la loro qualità di vita e riducendo i costi legati all' ospedalizzazione". Plerixafor ha fatto dunque da apripista e ora, conclude Lanza, "ci sono nuovi farmaci allo studio: si tratta di molecole simili, per lo più peptidi, quindi piccole proteine, che stanno affrontando ancora gli studi clinici di fase due e tre".

fonte: ansa

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