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Alcuni nuovi farmaci oncologici non valgono i costi extra

Farmaci Redazione DottNet | 27/09/2019 15:50

Esmo (European Society for Medical Oncology) di Barcellona: studiosi hanno passato al microscopio le molecole introdotte negli ultimi 10-15 anni

Non sempre nuovo è sinonimo di migliore, almeno nei caso dei farmaci anticancro. Se l' immunoterapia si è aggiudicata l' ultimo Nobel per la Medicina e le terapie con cellule Car-T cominciano ad arrivare sul mercato suscitando grandi speranze, non tutti i frutti della ricerca sono davvero preziosi, almeno secondo alcune ricerche presentate oggi al Congresso 2019 Esmo (European Society for Medical Oncology) di Barcellona, che hanno passato al microscopio le molecole introdotte negli ultimi 10-15 anni.

Ebbene, "molti nuovi anti-cancro hanno poco valore aggiunto per i pazienti rispetto ai trattamenti standard e raramente valgono il costo extra", affermano gli autori di due studi che hanno esaminato beneficio clinico e prezzi di questi farmaci in Europa e negli Stati Uniti. Gli studi hanno cercato di capire se i costi di trattamento mensili dei medicinali introdotti negli ultimi 10-15 anni per i tumori solidi fossero associati a punteggi clinici migliori in termini di sopravvivenza, ma anche di complicanze e qualità della vita, rispetto al trattamento standard. "La maggior parte dei nuovi farmaci antitumorali ha un basso valore aggiunto, quindi medici e pazienti non dovrebbero supporre che, solo perché un farmaco è nuovo, sarà meglio", ha detto Marc Rodwin della Suffolk University di Boston (Usa), co-autore di uno dei due studi, condotto sui nuovi anticancro arrivati sul mercato in Francia.

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In questo lavoro, quasi la metà dei nuovi farmaci approvati in Europa tra il 2004 e il 2017 per il trattamento dei tumori solidi aveva punteggi spia di un basso valore aggiunto sulla scala Esmo Magnitude of Clinical Benefit, e oltre due terzi totalizzavano un basso valore aggiunto sulla scala di classificazione utilizzata dall' agenzia regolatoria francese. In media, i nuovi costi sono stati superiori di 2.525 euro al mese rispetto alle terapie standard per la stessa malattia.  "Il primo studio in Francia a correlare il prezzo con parametri indipendenti per misurare il valore aggiunto ha dimostrato che, sebbene esista un legame tra costo e beneficio aggiunto, questo è debole", ha affermato Rodwin. Nel secondo studio - sui farmaci approvati per i tumori solidi negli adulti in quattro Paesi europei e negli Stati Uniti dal 2009 al 2017, non è emerso alcun legame tra costo del farmaco e beneficio clinico. Complessivamente, inoltre, i prezzi medi dei farmaci antitumorali in Europa sono risultati meno della metà di quelli statunitensi.

Più in dettaglio, il costo medio mensile per medicinali risultati di basso beneficio variava da 4.361-5.273 dollari nei Paesi europei a 12.436 dollari negli Stati Uniti. Ma soprattutto "i costi dei farmaci non erano associati a un beneficio clinico in nessuno dei Paesi esaminati. Ad esempio, alcuni dei medicinali più costosi per il carcinoma della prostata e del polmone in Svizzera avevano punteggi (Esmo-Mcbs) più bassi, mentre i più economici totalizzavano punteggi più alti", ha spiegato Kerstin Vokinger dell' Università di Zurigo. "E' importante - ha concluso - che i prezzi dei farmaci siano allineati al valore clinico, e che le nostre limitate risorse siano spese per medicinali innovativi che offrono risultati migliori".

 "Non che non siano veritieri, ma attenzione a dare a questi studi il giusto peso considerando tutti gli aspetti della questione". Cosi' il presidente eletto della Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), Giordano Beretta, commenta due studi internazionali presentati al Congresso europeo di oncologia Esmo in base ai quali molti farmaci innovativi avrebbero un ridotto valore aggiunto ed un costo extra spesso ingiustificato.    "E' vero che alcuni nuovi farmaci hanno un beneficio limitato, ma comunque hanno un beneficio e va detto - sottolinea Beretta - che la sopravvivenza non e' l'unico parametro da considerare. Gli enti regolatori devono infatti registrare un Nuovo farmaco ovviamente sulla base del vantaggio in sopravvivenza che esso determina, ma anche considerando ad esempio l'effetto nel controllo dei sintomi nei pazienti, perche' per quei pazienti quello nuovo farmaco potrebbe rappresentare un passo avanti".

Infatti, sottolinea, "dal punto di vista del paziente, il beneficio aggiountivo di un Nuovo farmaco potrebbe rappresentare un miglioramento importante, anche se tale beneficio fosse basso rispetto alla terapia standard". Si tratta dunque di studi che, secondo Beretta, "vanno letti con cautela". Va inoltre anche sottolineato, afferma, che "tali studi vedono una partecipazione di enti inglesi, e va detto che gia' ora il Sistema sanitaria inglese non rimborsa in vari casi I faramci e a breve l'Ínghilterra uscira' dall'Óuropa con cio' che ne consegue, dunque e' una posizione comoda agli inglesi dire che farmaci che l'Ínghilterra non rimborserebbe hanno un basso valore aggiunto". Tuttavia, conclude, "quanto cé'di attacco mediatico in questa posizione sostenuta?".

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