Le protesi sono fatte di nanoparticelle d'oro rivestite di nanocavi di titanio che vanno a sostituire in gran numero i 'fotorecettori' retinici danneggiati
Con 'nanoprotesi' di oro e titanio impiantate nella retina potrebbe essere possibile un giorno ridare la vista a pazienti con gravi malattie retiniche come maculopatia e retinite pigmentosa. La promessa arriva da uno studio presentato in anteprima mondiale a Roma in occasione della 5/a edizione del convegno internazionale Macula Today (organizzato dalla Macula and Genoma Foundation onlus) da Jiayi Zhang, Vice Direttore del State Key Laboratory for Neurobiology, presso la Fudan University, a Shanghai: nel lavoro scimmie non vedenti, grazie a questi 'nanochip' disposti in parallelo nel centro della retina (fovea), hanno ricominciato a percepire la luce.
Le nanoprotesi sono fatte di nanoparticelle d'oro rivestite di nanocavi di titanio che vanno a sostituire in gran numero i 'fotorecettori' retinici danneggiati, ovvero le cellule della retina che catturano la luce permettendoci di vedere. L'evento, riferisce Andrea Cusumano dell'Università di Tor Vergata, è stato coronato da una lettera di Andrea Bocelli che ha espresso la sua gratitudine per gli sforzi della ricerca mondiale nella prevenzione e cura di malattie che portano alla cecità. "La concentrazione degli sforzi nella ricerca - scrive il cantante e tenore italiano - è una strada valida e promettente, affinché quel che ieri appariva una chimera, oggi sia già una concreta speranza e domani una certezza, un nuovo solido traguardo della medicina, tale da poter fare la differenza nella vita delle persone". Il lavoro della Zhang è iniziato nel 2018 con una pubblicazione su Nature Communications in cui i nanocavi avevano restituito parzialmente la vista a topi con danni retinici, in particolare la capacità di percepire la luce e distinguere tra oggetti statici e in movimento.
Zhang a Roma, spiega Cusumano all'ANSA, ha presentato i primi risultati dell'applicazione di questi nanocavi su primati non umani, scimmie che hanno una retina molto simile alla nostra. Grazie ai nanocavi le scimmie non vedenti riescono a percepire la luce come testimoniato anche dagli esami 'elettrofisiologici' di routine cui sono stati sottoposti gli animali. Questi nanocavi potrebbero divenire un giorno risolutivi nella cure di malattie degenerative della retina quali la retinite pigmentosa (RP) e la degenerazione maculare legata all'età (AMD), che causano la perdita irreversibile dei fotorecettori e, infine, la cecità. La strada verso le sperimentazioni cliniche, conclude Cusumano, non è prossima ma non è impensabile la possibilità che questa ricerca subisca un'accelerazione importante come già avvenuto ad esempio con l'occhio bionico.
fonte: ansa
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