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Riconoscere i segnali dell'autismo a 12 mesi può cambiare il destino

Neurologia Redazione DottNet | 07/04/2020 14:17

Studio Irccs Burlo Trieste, test precoce per individuarne i sintomi

Uno screening in due tempi - a 12 e 18 mesi di età - basato sull'impiego di due questionari complementari permette di cogliere molto presto i segni tipici di autismo e di intervenire con un adeguato progetto terapeutico. E' quanto emerge da uno studio triennale effettuato all'Irccs Burlo Garofolo di Trieste, che ha coinvolto 224 bambini della provincia del capoluogo giuliano considerati a basso rischio per disturbi del neurosviluppo, grazie al quale ne sono stati individuati 3 con tratti autistici, che sono stati indirizzati a un percorso terapeutico specifico per il loro caso. Obiettivo dell'indagine, spiega una nota dell'ospedale pediatrico, è quello di standardizzare un protocollo di screening precoce in grado di anticipare più possibile la diagnosi di autismo.

I programmi tradizionali di screening, spiega Raffaella Devescovi, dirigente medico di neuropsichiatria infantile e referente per l'ambulatorio dei disturbi della comunicazione sociale al Burlo Garofolo, "iniziano a 18 mesi, proprio perché è difficile rilevare i sintomi" dei disturbi dello spettro autistico "già a 12 mesi di età, finestra evolutiva importante in cui si può pensare di intervenire". La mancata o tardiva diagnosi, precisa, "si traduce purtroppo in un ritardo nell'avvio delle cure, che potrebbe compromettere gravemente la futura qualità di vita del bambino e della sua famiglia".  Accorgersi precocemente del problema, prosegue Devescovi, "consente di modificare una traiettoria evolutiva che sta procedendo in maniera atipica nei primi tre anni di vita, età in cui un intervento mirato pone le basi per una prognosi migliore". 

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  Alle famiglie chiamate per il protocollo standard di vaccinazione dei piccoli sono stati sottoposti due questionari complementari (chiamati I-TC e QCHAT) allo scadere dei 12 e 18 mesi di età, abbinati poi a una visita specialistica. Il lavoro è stato pubblicato dalla rivista Brain Sciences ed è consultabile anche sul sito dell'ospedale pediatrico.

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