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Iss, l'esito del Covid si decide nei primi 15 giorni di contagio

Infettivologia Redazione DottNet | 24/04/2020 20:46

Tra i fattori determinanti per un finale favorevole al paziente ci sono l'esposizione virale, la debolezza immunitaria e lo sforzo fisico. Calano i malati in metà Italia, nuova autocertificazione dal 4 amggio

La storia dell'evoluzione del coronavirus si decide nei primi 10-15 giorni della malattia. L'esito finale, favorevole o sfavorevole, dell'infezione da Covid-10 si decide infatti nei primi 10-15 giorni dal contagio. E tutto si giocherebbe su tre elementi cruciali: l'esposizione virale, la debolezza immunitaria o uno sforzo fisico intenso nei giorni dell'incubazione. A dimostrarlo è uno studio dell'Istituto superiore di sanità (Iss), che mette insieme il puzzle delle manifestazioni cliniche del virus, dalle forme asintomatiche alla morte.

Il modello scientifico è elaborato da tre ricercatori italiani: Paolo Maria Matricardi (Charité Universitätsmedizin Berlin), Roberto Walter Dal Negro (National Centre of Pharmacoeconomics and Pharmacoepidemiology Verona) e Roberto Nisini (Reparto Immunologia, Istituto Superiore di Sanità) e proposto per la pubblicazione alla rivista Pediatric Allergy and Immunology, dove è attualmente in fase di revisione. E' pubblicato come pre-print sul sito preprints manuscript. Secondo il modello, dunque, l'esito della malattia si decide nelle prime 2 settimane dal contagio e dipende dal bilancio tra la dose cumulativa di esposizione virale e l'efficacia della risposta immunitaria.

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Il virus può superare questo primo round se: l'immunità innata è debole (questa condizione si realizza in molti anziani e nei soggetti privi di anticorpi per difetti genetici), l'esposizione cumulativa al virus è enorme (questa situazione si realizza per esempio tra medici e operatori sanitari che hanno curato molti pazienti gravi senza le opportune protezioni) e si compie un esercizio fisico intenso e/o prolungato, con elevatissimi flussi e volumi respiratori, proprio nei giorni di incubazione immediatamente precedenti l'esordio della malattia, facilitando così la penetrazione diretta del virus nelle vie aeree inferiori e negli alveoli.

Dunque, spiegano i ricercatori, se SarsCov2 supera il blocco della immunità innata e si diffonde dalle vie aeree superiori agli alveoli già nelle prime fasi dell'infezione, allora può replicarsi senza resistenza locale, causando polmonite e rilasciando elevate quantità di antigeni. La successiva risposta immunitaria è ritardata e, incontrando grandi quantità di virus nel frattempo già replicato in moltissime copie, provoca una grave infiammazione che porta a complicazioni che spesso richiedono terapia intensiva e, in alcuni pazienti, causano il decesso.

Questo modello, rileva l'Iss, "potrà contribuire a meglio orientare provvedimenti mirati alla gestione della seconda fase della pandemia nel nostro Paese ed a stimolare la ricerca clinica". Si tratta di "un importante passo avanti nella lotta al virus, perché mette insieme tutte le tessere di un enorme puzzle e offre ai medici, ai ricercatori e agli amministratori - conclude l'Istituto superiore di sanità - il primo 'navigatore' per meglio orientarsi nella prevenzione, diagnosi, sorveglianza e provvedimenti di salute pubblica".

Calano i malati

La situazione epidemiologica "è nettamente migliorata" dicono gli esperti dell'Istituto superiore di Sanità e i dati confermano: in più della metà delle regioni italiane i malati di coronavirus diminuiscono. Un trend che a livello nazionale si conferma ormai da cinque giorni e che va consolidandosi, anche se restano due macchie: l'incremento dei morti, anche oggi sopra i 400, e il nuovo aumento dei positivi in Lombardia e Piemonte, le due regioni attualmente più in difficoltà dove il virus continua a muoversi in controtendenza rispetto al resto del paese. Sono questi ultimi due aspetti che spingono gli scienziati a ribadire per l'ennesima volta un concetto ormai chiaro a tutti gli italiani e cioè che la fase di riapertura deve essere gestita con la massima prudenza.

Quando il 4 maggio la maggior parte delle attività produttive cominceranno a ripartire e le persone torneranno a poter uscire di casa, bisognerà dunque essere rigorosi nel rispetto del distanziamento sociale e nel divieto d'assembramento e, soprattutto, sarà necessario esser pronti ad individuare eventuali nuovi focolai, per isolarli con la creazione di 'zone rosse' locali, in modo da contenere il virus e non far risalire la curva del contagio. In ogni caso il 4 maggio non sarà, come hanno ripetuto sia il premier Giuseppe Conte sia gli scienziati, un 'liberi tutti'. Dovrebbe non essere più necessaria l'autocertificazione per spostarsi all'interno del proprio comune e della stessa Regione, almeno questa è l'ipotesi sul tavolo del governo, ma il modulo dovrà invece sempre essere portato in caso di spostamenti tra diverse regioni.

Che resteranno, esattamente come adesso, consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità e motivi di salute. Niente possibilità di esodi di massa, dunque, soprattutto dal nord verso il sud. I dati confermano comunque che il trend è in discesa, con il numero dei guariti che ha superato la soglia dei 60mila e con un incremento rispetto a ieri di 2.992: non è il record in 24 ore ma è il secondo miglior incremento dall'inizio dell'emergenza. I malati sono complessivamente 106.527, il che significa 321 meno di ieri. Ma, dato ancora più importante, è che 11 regioni - Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Liguria Campania, Puglia, Abruzzo, Umbria, Sardegna, Calabria e Valle d'Aosta - e le province autonome di Trento e Bolzano, hanno il segno meno davanti agli attualmente positivi.

A queste vanno aggiunte la Basilicata, in cui non si registrano nuovi casi, e il Molise, che ne ha solo 2. L'altro dato fondamentale è quello che riguarda la pressione sulle strutture sanitarie e anche in questo caso i numeri sono buoni: nelle terapie intensive sono ricoverati 2.173 pazienti, 94 in meno di ieri - e soprattutto quasi 1.900 in meno rispetto a venti giorni fa, quando erano 4.068 - mentre negli altri reparti ospedalieri il numero è sceso a 22.068, con un calo di 803 ricoverati rispetto a giovedì. Qui finiscono i numeri positivi. La Lombardia, con 495 malati in più, e il Piemonte, con 239, continuano a preoccupare. E' vero che nella regione più martoriata scendono sia le terapie intensive sia i ricoveri negli altri reparti, ma è anche vero che aumentano i contagi nella città metropolitana di Milano dove si registrano in totale 17.689 positivi con un aumento di 412 nuovi casi, di cui 246 nella sola Milano città.

Le due regioni hanno inoltre più della metà delle vittime nelle ultime 24 ore: su 420 in tutta Italia, 166 sono in Lombardia e 69 in Piemonte. Motivi in più, dunque, per arrivare alla fase 2 con prudenza. Gli esperti ripetono che l'elemento fondamentale da tener presente è l' 'R con zero', l'indice di contagiosità del virus: ad oggi è tra lo 0,2 e lo 0,7 - a seconda delle regioni - e si deve fare di tutto per evitare che torni sopra l'1. "Questo è il prossimo scenario da tenere in conto - dice il presidente dell'Iss Silvio Brusaferro - se dovesse invece risalire sopra l'1 ci sarebbe una ricrescita della curva, con nuovi grandi numeri per le terapie intensive e decessi". Dunque bisogna continuare con la cautela e sperare che quel numero insopportabile di morti cominci finalmente a scendere in maniera consistente, fino ad arrivare a zero.

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