Per la Suprema Corte la circostanza che i sanitari abbiano proposto il ricovero di un collega dimostra la consapevolezza della gravità della patologia
Se il paziente è un collega che rifiuta il ricovero, manifestando la volontà di non sottoporsi ad accertamenti ritenendo di non averne bisogno, i medici di guardia del reparto di cardiologia rispondono per il loro operato, in quanto, come si legge nell'ordinanza della Corte di cassazione numero 200/2021, tale comportamento riflette "la consapevolezza dei sanitari, sotto il profilo della negligenza ed imprudenza, perché dimostra, avendo gli stessi proposto il ricovero in conseguenza della sintomatologia in atto, che si erano resi conto o avevano quantomeno sospettato l'effettiva e ben più grave patologia".
Nel caso di specie, il paziente si era recato in pronto soccorso lamentando cefalee e ipertensione, sintomo di un ictus in corso che, tuttavia, non gli veniva diagnosticato. Tornato a casa, il giorno seguente fu costretto a operarsi d'urgenza.
l giudice di merito di primo grado aveva riconosciuto la responsabilità della struttura per non aver disposto adeguati accertamenti diagnostici (tac) e tenuto il paziente in osservazione. La Corte di Appello aveva invece riformato la sentenza di prime cure osservando – “in termini del tutto generici e ipotetici”- che le “peculiari caratteristiche oggettive del caso in esame, ed in particolare la immediata remissione dei sintomi (ipertensione e cefalea), hanno avuto l’effetto di “depistare” il corretto inquadramento diagnostico tanto nell’ipotesi, assai poco probabile, che al momento del ricovero fosse già in atto l’emorragia quanto, a maggior ragione, nell’evenienza che si trattasse di una cefalea c.d. sentinella e cioè prodromica al futuro evento emorragico”, essendo “in ogni caso innegabile che, nella situazione data, la diagnosi presentasse un grado elevato di difficoltà tecnico-scientifica tale da configurare un errore sanzionabile ed un danno risarcibile solo in caso di colpa (imperizia) grave, secondo la previsione del richiamato art. 2236 c.c.”.
In secondo grado la Corte d'appello aveva ritenuto che la remissione dei sintomi avrebbe depistato il corretto inquadramento della patologia e avrebbe reso l'accertamento diagnostico talmente complesso da generare un errore sanzionabile solo in caso di colpa grave. Per la Corte di cassazione, commenta StudioCataldi, però, anche tenendo conto di quanto detto sopra, tali conclusioni sono state il frutto di un accertamento del tutto generico e ipotetico che non può essere confermato. Sebbene per il giudice sia possibile discostarsi dalla CTU e, anche in tal modo, ribaltare gli esiti del giudizio di primo grado, a tal fine è indispensabile che egli fornisca un'adeguata e logica motivazione. Non è invece sufficiente valorizzare "atti di parte ed emergenze probatorie differenti da quelle favorevolmente considerate dal tribunale, senza invero indicare argomento alcuno idoneo a rendere comprensibile l'iter logico-giuridico seguito, omettendo in particolare di spiegare quali ragioni l'abbiano indotta a privilegiare questi ultimi in luogo dei primi".
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