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Vaccino anti-Covid, guida Anaao per medici e dirigenti sanitari

Infettivologia Redazione DottNet | 21/01/2021 21:19

Tra obbligo e problematiche sul lavoro, il webinar organizzato dall'Anaao stabilisce gli ambiti legali e professionali sui vaccini

Il webinar roganizzato dall'Anaao sui vaccini ha chiarito diversi aspetti medici e legali. Di seguito una sintesi che difatto è una guida per medici e operatori del settore

Vaccini disponibili: efficacia e sicurezza
Gabriele Gallone - Medico del Lavoro e Responsabile vaccinazioni AOU Orbassano (To) – Esecutivo Nazionale Anaao Assomed
Dopo pochi mesi dall’inizio della pandemia sono stati approvati dalla FDA negli USA e dall’EMA in Europa due vaccini basati sulla tecnologia a mRNA. Si tratta di un evento eccezionale in quanto a rapidità. Nella storia dello sviluppo dei vaccini sono mediamente necessari tempi non inferiori ai 5 anni. La grandissima quantità di finanziamenti statali e la possibilità di implementare una piattaforma innovativa basata sull’RNA messaggero (in studio già dal 1990) ha permesso di sviluppare vaccini con una efficacia elevatissima (95%) e con un profilo di sicurezza più che accettabile. Dopo Pfizer e Moderna seguiranno entro pochi mesi altri prodotti che contribuiranno a debellare la più grande pandemia degli ultimi 100 anni. Solo cinque anni fa non sarebbe stato possibile inglobare un filamento di RNA dentro piccole particelle lipidiche. La scienza quando finanziata adeguatamente porta a risultati spettacolari.

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Il vaccino può essere obbligatorio?
Vitalba Azzollini – Giurista
L’obbligo vaccinale non è incompatibile con la Costituzione. L’art. 32 definisce la salute, «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». La minaccia del virus mostra l’interdipendenza tra le due dimensioni – personale e generale - del “bene salute”. Perciò, secondo la Costituzione, con certe garanzie può essere prescritto un determinato trattamento sanitario, quindi anche una vaccinazione, a tutela della salute collettiva. La prima garanzia è che l’obbligo vaccinale sia disposto con legge dello Stato. Non basta una legge regionale o un Dpcm. Altre garanzie emergono da pronunce della Consulta: il trattamento imposto per legge deve essere diretto a garantire non solo la salute di chi vi è assoggettato, ma anche degli altri; non deve incidere negativamente sulla salute di colui che è obbligato, salvo conseguenze normali e tollerabili; nell'ipotesi di danno ulteriore, dev’essere prevista la corresponsione di una equa indennità.
Circa l’obbligo vaccinale va evidenziato che, per poter pretendere un comportamento, esso deve essere esigibile. Prima di imporlo, quindi, va verificata la disponibilità di mezzi e risorse non solo per assicurare il vaccino a tutti, ma anche per somministrarlo forzosamente con irrogazione delle relative sanzioni. Peraltro, sancire un obbligo rischia di alimentare sospetti, conflittualità e atteggiamenti anti-vaccinali. Ma pure ove si scelga la via della raccomandazione, una massiccia campagna persuasiva che facesse leva sulla responsabilità individuale potrebbe tradursi in un boomerang, se non si fosse in grado di soddisfare le richieste di tutti quelli che si siano persuasi a farsi vaccinare.
Si parla di “patentino vaccinale” per condizionare alla vaccinazione la fruizione di spazi e momenti di vita sociale. Per imporlo, sarebbe necessario il rispetto dei medesimi paletti previsti dalla Costituzione e precisati dalla Consulta, con vaglio di proporzionalità fra gli interessi coinvolti, operato dal legislatore. Al momento, tuttavia, ciò non sarebbe agevole: non si sa in maniera definitiva se il vaccino attualmente disponibile impedisca solo la manifestazione della malattia o anche il trasmettersi dell’infezione, né per quanto tempo. Pertanto, essere vaccinati non conferisce un “certificato di libertà”. È invece escluso che a un soggetto il quale abbia rifiutato la vaccinazione possano essere precluse cure o istruzione, oggetto di diritti fondamentali.
Il vaccino potrebbe essere richiesto dal datore di lavoro al lavoratore che corra un rischio da esposizione ad agenti biologici (il SARSCoV-2 è agente patogeno per l’uomo) o che svolga un’attività improntata alla tutela della salute di terzi, come ad esempio quella degli operatori sanitari. Una legge resta comunque l’opzione preferibile, anche qualora si volesse arrivare all’obbligo vaccinale solo per alcune categorie.

È possibile licenziare un dipendente che non si vaccina? Solo in assenza di un proficuo impiego.
(tratto da Il Sole 24 Ore del 13 gennaio 2021)
Oronzo Mazzotta – Professore ordinario di Diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pisa
Tema sul della vaccinazione anti Covid-19 sembrano essersi formati due partiti contrapposti: uno favorevole all’adozione di provvedimenti disciplinari anche drastici, l’altro che cerca di operare distinzioni.. Per non incorrere in fraintendimenti sulla mia posizione denuncio subito il mio pregiudizio: è non solo opportuno, ma anche doveroso per ciascun cittadino, vaccinarsi per rispetto di se stessi, dei propri cari e della comunità. Ciò posto, il problema giuridico resta e risponde alla seguente domanda: in un contesto ordinamentale nel quale la vaccinazione non è obbligatoria, può il datore di lavoro imporla ai propri dipendenti per ragioni di sicurezza e conseguentemente sanzionare con il licenziamento per giusta causa chi non si adegua a tale disposizione? Chi risponde positivamente alla domanda invoca gli articoli 32 della Costituzione («nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge») e 2087 del Codice civile, che impone al datore di lavoro di «adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro» e stabilisce un nesso fra i due. La legge che può autorizzare un trattamento sanitario obbligatorio sarebbe proprio l’articolo 2087. Purtroppo così non è, perché la «disposizione di legge» cui allude l’articolo 32 deve consistere in una normazione ad hoc, specificamente diretta a imporre la vaccinazione. D’altra parte è sì vero che il rispetto dell’obbligo previsto dall’articolo 2087 impone al datore di conformarsi al criterio della «massima sicurezza possibile», ma il rispetto di tale criterio è pur sempre ancorato a dati scientifici dedotti dall’«esperienza e la tecnica» e, nel nostro caso, poco o nulla si sa sul vaccino e i suoi effetti. Certo, i rapporti di lavoro non sono tutti uguali. Ma questo semmai conferma che il giudizio sull’inadempimento del lavoratore deve essere necessariamente condotto sul piano del singolo rapporto; è un giudizio che va individualizzato. Ne deve conseguire che legittimamente un ospedale o una casa di cura privata possono pretendere la vaccinazione da medici e infermieri, anche perché sarebbero esposti a responsabilità risarcitoria nei confronti di chi, ricoverato per curarsi, abbia contratto il virus in conseguenza di un comportamento negligente di un dipendente. È evidente però che, con riferimento a tali specifici rapporti, la protezione della salute degli assistiti è proprio l’oggetto della prestazione richiesta agli addetti del settore. Infine, una volta che, caso per caso e in relazione ai diversi “ambienti” lavorativi, si sia considerata esigibile la richiesta di vaccinazione, resta la questione della sanzione applicabile al comportamento deviante del lavoratore. Non è detto, infatti, che la più corretta reazione datoriale debba essere considerata il licenziamento. Intanto potrebbe esservi per il datore l’opzione di adibire il lavoratore, che abbia scelto di non vaccinarsi, a posizioni compatibili con tale scelta, in attuazione del suo potere direttivo.
Residuerebbe infine la possibilità di configurare il comportamento del lavoratore come un oggettivo impedimento alla prestazione di lavoro, in ragione di un’impossibilità sopravvenuta. Ma anche così ragionando il licenziamento potrebbe non essere una conseguenza automatica. Il datore di lavoro dovrebbe sospendere il dipendente e procedere al suo licenziamento solo quando siano venute meno le condizioni di un suo proficuo impiego (cioè quando sussistano ragioni organizzative o produttive che lo autorizzino).

Vaccinazioni: obbligo e deontologia medica
Maurizio Mori - Ordinario di Filosofia Morale e Bioetica, Università degli Studi di Torino – Presidente della Consulta di Bioetica Onlus – Componente del Comitato nazionale per la bioetica
I vaccini contro il Covid-19 hanno specificità rispetto ai normali vaccini, non foss'altro per la rapidità della loro produzione. Può darsi che il processo seguito segni una svolta significativa sul piano scientifico, ma resta il fatto della loro “diversità” rispetto alla tradizione (recente). Non mi soffermo sulle questioni tecniche perché i partecipanti all'incontro sono più esperti di me sul punto, che va messo in luce per chiarire subito una questione.
I vaccini tradizionali sono doverosi sia moralmente sia deontologicamente sia giuridicamente, dove la distinzione tra i tre ambiti (da chiarire) segna un progressivo aumento della forza dell’obbligo. Questi vaccini, infatti, sono una sorta di enhancement che rafforza il vaccinato, il quale viene protetto e al tempo stesso protegge. Proprio in forza dell’aspetto protettivo, il vaccino normale diventa doveroso su tutti i piani.
Alcuni vaccini Covid presentano problemi, perché non sappiamo ancora bene se soddisfino tutte le caratteristiche richieste. Tuttavia, sul piano deontologico sembrano doverosi perché il medico ha un dovere più forte del normale cittadino di efficienza. Sul piano giuridico più ampio possono esserci dubbi per via delle resistenze diffuse che possono portare a fenomeni derogatori del rispetto stesso dovuto alla legge.

Le motivazioni comportamentali dei no-vax
Mariacarla Sbolci -
 Psicoterapeuta cognitivo- comportamentale
Oggi stiamo vivendo una nuova fase di COVID-19 in cui il ruolo della psicologia che comprende e aiuta a modificare i comportamenti disfunzionali sembra ancora più essenziale: quella attuale in cui è disponibile un vaccino. Infatti stiamo osservando il grado di predisposizione della popolazione mondiale a farsi vaccinare. Ma perché una stessa situazione-stimolo può provocare in soggetti diversi, o nello stesso soggetto in momenti differenti, due reazioni completamente opposte? Non si può comprendere questo straordinario paradosso senza l’aiuto di una branca della psicologia cognitiva che cerca di capire perché, in alcune circostanze, la nostra mente tende a compiere errori di percezione e di ragionamento. Errori che influenzano le nostre decisioni economiche, le nostre decisioni politiche, oltre a moltissimi comportamenti della vita di tutti i giorni. Si tratta di studi così importanti che nel 2002, al fondatore di questa branca della psicologia, l’israeliano Daniel Kahneman, è stato assegnato addirittura il premio Nobel. La pandemia da Covid-19 sta producendo probabilmente un’impressione così forte da tornare a convincere tutti della necessità di vaccinare i propri figli o se stessi. Mai come in questo frangente, la disponibilità di un vaccino efficace rappresenta una miracolosa ancora di salvezza. Ma non dovremo per questo dimenticarci dei bias cognitivi, studiati da Kahneman, che possono accecare il nostro senso critico. Solo una profonda consapevolezza della loro esistenza ci potrà proteggere dal prossimo abbaglio. Il pericolo infatti è sempre dietro l’angolo. Anzi, dentro la nostra mente.

La linea dell’Anaao Assomed
Carlo Palermo, 
Segretario Nazionale Anaao Assomed
L’Anaao Assomed ritiene imprescindibile convincere le persone alla vaccinazione e l’obbligatorietà deve passare in ogni caso per legge. Per quanto riguarda i Colleghi e in genere gli operatori sanitari, stiamo parlando di situazioni marginali perché oltre il 90% di loro si vaccinerà. La vaccinazione infatti rappresenta un obbligo etico per i medici che devono sempre garantire la sicurezza delle cure e la tutela dei soggetti più fragili.
Riteniamo il licenziamento un’arma difficile da applicare nel settore sanitario. I colleghi piuttosto rischiano procedimenti disciplinari in ambito ordinistico e in azienda il cambio di mansione e, se ciò non fosse possibile, la collocazione in aspettativa con sospensione dello stipendio.

 

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