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Nel 2018 più di 14 mila i bimbi nati con tecniche assistite

Ginecologia Redazione DottNet | 01/03/2021 13:40

Il maggior numero dei trattamenti di fecondazione assistita viene effettuato nei centri pubblici

Considerando l’applicazione di tutte le tecniche di PMA sia di I livello (inseminazione), che di II e III livello (fecondazione in vitro) con o senza donazione di gameti, dal 2017 al 2018, si è riscontrata una lieve diminuzione delle coppie trattate (da 78.366 a 77.509), una stabilità nel numero dei cicli effettuati (da 97.888 a 97.509), con un aumento dei bambini nati vivi (da 13.973 a 14.139) ovvero il 3,2% del totale bambini nati nel 2018. È quanto si legge nella Relazione al Parlamento sull’attuazione della Legge 40 pubblicata oggi dal Ministero della Salute e relativa all’anno 2018.
 
In generale, il 69,2 % dei cicli di trattamenti di II e III Livello a fresco senza donazione di gameti si effettua all’interno del SSN (in centri pubblici + privati convenzionati). I centri PMA privati sono in numero superiore a quelli pubblici + privati convenzionati (104 vs 67 + 17), ma svolgono meno cicli di trattamento. Infatti il 35,6% dei centri è pubblico ed effettua il 41,1% dei cicli; il 9,0% è privato convenzionato ed effettua il 28,1% dei cicli; il 55,3% è privato ed effettua il 30,8% dei cicli. In totale i centri attivi sono 345, di cui 106 pubblici, 20 privati convenzionati, 219 privati (143 di I livello e 202 di II e III livello). Rimane, però, la diversa distribuzione dei centri pubblici e privati convenzionati che vede una maggiore concentrazione al nord del Paese, e che riflette la diversità dell’offerta ai cittadini, tra le Regioni. Inoltre, un consistente numero di centri PMA presenti sul territorio nazionale svolge un numero ridotto di procedure nell’arco dell’anno. Solo il 27,1% dei centri di II e III livello ha fatto più di 500 cicli, contro una media europea di centri che svolgono un’attività di più di 500 cicli del 43,1%. (European IVF Monitoring, EIM anno 2015).
 
“Sarebbe auspicabile – si legge - che gli operatori dei centri PMA svolgessero volumi di attività congrui in modo da garantire qualità e sicurezza e appropriatezza delle procedure nelle tecniche di PMA e che tali centri fossero equamente distribuiti su tutto il territorio nazionale garantendo lo stesso livello di prestazione”.
 
Resta elevata l’età media delle donne che si sottopongono a tecniche senza donazione di gameti a fresco: 36,7 anni; (i dati più recenti pubblicati dal registro europeo danno per il 2015 un’età media di 34,9 anni). Ovviamente nella fecondazione con donazione di gameti l’età della donna è maggiore se la donazione è di ovociti (41,6 anni) e minore se la donazione è di seme (34,8).
 
“La maggiore età – si legge nella Relazione - di chi accede ai cicli di donazione sembra indicare come questa tecnica sia scelta soprattutto per infertilità fisiologica, dovuta appunto all’età della donna e non per patologie specifiche. Per le tecniche a fresco senza donazione di gameti, le percentuali di successo sembrano ridursi, ma dobbiamo considerare un costante numero di coppie che accedono alle tecniche di PMA con età maggiore di 40 anni mentre migliorano nelle tecniche con l’applicazione di crioconservazione”.

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A livello nazionale circa il 4,2% dei parti con procreazione medicalmente assistita ha utilizzato il trattamento farmacologico e il 5,8% il trasferimento dei gameti maschili in cavità uterina (IUI). La fecondazione in vitro con trasferimento di embrioni in utero (FIVET) riguarda il 43,7% dei casi mentre la fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI) riguarda il 35,5% dei casi.
 
Nelle gravidanze con PMA il ricorso al taglio cesareo è, nel 2018, superiore rispetto alla media nazionale, verificandosi nel 52,74% dei parti. La percentuale di parti plurimi in gravidanze medicalmente assistite (15,8%) è sensibilmente superiore a quella registrata nel totale delle gravidanze (1,7%). Si osserva una maggiore frequenza di parti con procreazione medicalmente assistita tra le donne con scolarità medio alta (3,3%) rispetto a quelle con scolarità medio bassa (1,6%). La percentuale di parti con PMA aumenta al crescere dell’età della madre, in particolare è pari al 12,86% per le madri con età maggiore di 40 anni.
 
Diminuiscono le gravidanze gemellari e anche le trigemine, queste ultime in linea con la media europea nonostante una persistente variabilità fra i centri. Rimane costante la percentuale di esiti negativi sulle gravidanze monitorate, per la fecondazione in vitro sia da fresco che da scongelamento.
 
All’aumentare dell’età il rapporto tra gravidanze ottenute e cicli iniziati subisce una progressiva flessione mentre il rischio che la gravidanza ottenuta non esiti in un parto aumenta. I tassi di successo diminuiscono linearmente dal 22,2% per le pazienti con meno di 35 anni al 4,9% per quelle con più di 43 anni. Le percentuali cumulative di gravidanza per ogni classe di età della paziente seguono lo stesso andamento per età e fanno registrare un deciso incremento, in quasi tutte le fasce di età rispetto ai valori registrati nel 2017. Nel 2018, nelle pazienti con età inferiore ai 34 anni la probabilità di ottenere una gravidanza è stata del 13,2% sui cicli iniziati e del 14,7% sulle inseminazioni effettuate, mentre nelle pazienti con più di 42 anni la percentuale scende rispettivamente al 2,9% ed al 3,3%.
 
In generale la quota di gravidanze monitorate ottenute da tecniche di secondo e terzo livello, sia a fresco che da scongelamento, che arriva al parto è il 73,7%. Il restante 26,3% delle gravidanze ha registrato un esito negativo. Osservando la distribuzione degli esiti negativi di gravidanze per età delle pazienti, appare evidente come il rischio che una volta ottenuta la gravidanza, questa non esiti in un parto, è direttamente proporzionale all’età della paziente. Nelle pazienti con meno di 35 anni, la quota delle gravidanze con esito negativo è pari al 20,4%, quota che aumenta con il crescere dell’età, fino a giungere al 57,8% per le pazienti con età pari o maggiore di 43 anni. In generale nel 2018, le pazienti con più di 43 anni hanno avuto un rischio circa 5 volte maggiore delle pazienti più giovani, di interrompere la gravidanza per il verificarsi di un evento negativo.

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