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Non si diventa medici di famiglia sulla base dell'esperienza professionale

Medlex Redazione DottNet | 20/03/2022 15:24

Il Tribunale di Roma respinge le richieste di 78 medici privi del diploma che chiedevano di aver riconosciuta la formazione sulla base di convenzioni a termine, rinnovate per anni senza soluzione di continuità

I dottori che hanno esercitato come medici di base da ‘precari’ – vale a dire sulla base di convenzioni a termine, rinnovate per anni senza soluzione di continuità, con il Servizio sanitario nazionale – pur essendo privi del diploma di formazione specifico in Medicina generale, non hanno diritto a vedersi riconosciuto dallo Stato questo titolo ‘solo’ per aver accumulato un’esperienza professionale equiparabile al diploma in questione. Questo è quanto ha stabilito, in due sentenze emesse il 12 dicembre 2021 e il 21 febbraio di quest’anno, il Tribunale civile di Roma, che ha quindi respinto le richieste avanzate da 78 medici di tutta Italia – 64 nel primo caso e 14 nel secondo – rappresentati dall’avvocato bolognese Alberto Santoli.

Alla base delle pretese dei medici che hanno intentato la causa civile contro la presidenza del Consiglio e il ministero della Salute c’è una direttiva europea del 2005, attuata dall’Italia con un decreto legislativo nel 2007. La direttiva prevede che le qualifiche professionali siano attestate da un titolo di formazione o da un’esperienza professionale rappresentata dall’esercizio effettivo e legittimo della professione in uno Stato membro, a tempo pieno o a tempo definito, per un periodo equivalente (nel caso specifico un triennio).

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Secondo i medici, in sostanza, l’Italia avrebbe violato le disposizioni della direttiva comunitaria, in quanto, si legge nell’atto di citazione, il decreto legislativo del 2007 “non tiene in alcuna considerazione, né riconosce in alcun modo, un’attività formativa equipollente che determini il diritto di esercitare l’attività di medico di medicina generale sulla scorta dell’esperienza professionale e formazione complementare acquisita nell’esercizio di fatto dell’attività a seguito di incarichi contrattuali a questi ultimi in tutto e per tutto equipollenti e parificati e conferiti da Enti o Aziende del Servizio sanitario nazionale in costanza di cronica carenza di personale medico reclutabile in possesso di titolo di medico di medicina generale”.

Da qui la richiesta ai giudici di mettere nero su bianco che lo Stato italiano avrebbe violato la norma comunitaria, “avendo omesso di riconoscere e stabilire termini e modalità dell’incidenza della ‘esperienza professionale a tempo pieno o parziale per un periodo equivalente'”, ma anche di disapplicare gli articoli delle norme nazionali sul tema e di “condannare lo Stato italiano” a rilasciare ai medici “il certificato attestante il diritto di esercitare l’attività di medico di medicina generale”.

Entrambi i giudici, però, hanno respinto queste richieste, in quanto, come si legge nella sentenza depositata a febbraio, “non vi è un obbligo espresso verso il legislatore nazionale da parte del legislatore sovranazionale“. Anche nella sentenza di dicembre si spiega che le disposizioni comunitarie “non impongono al legislatore degli Stati membri di rilasciare il titolo di formazione a un medico che abbia svolto una attività di formazione di esperienza professionale che attribuisca conoscenze analoghe, ma consente unicamente tale facoltà”.

La direttiva europea, ricordano i giudici, stabilisce infatti – nell’articolo che “disciplina la formazione specifica in Medicina generale prevedendo che il titolo possa essere rilasciato solo dopo almeno tre anni di formazione a tempo pieno” – che gli Stati membri “possono rilasciare i titoli di formazione a un medico che non ha compiuto la formazione ma ha completato un’altra formazione complementare” e che gli stessi Stati “stabiliscono in che misura si possa tener conto della formazione complementare e dell’esperienza professionale acquisita dal richiedente in sostituzione della formazione”.

Queste disposizioni, osserva il Tribunale civile romano, “non impongono espressamente al legislatore degli Stati membri di rilasciare il titolo di formazione a un medico che abbia svolto una attività di formazione di esperienza professionale con conoscenze ‘analoghe’, ma consente unicamente tale facoltà”. Quindi, sintetizza il giudice nella prima sentenza, “un conto è consentire e diverso è l’obbligare il legislatore di uno Stato”. Non risulta nemmeno violato l’articolo della normativa europea in base al quale “ogni Stato membro stabilisce i diritti acquisiti, ma deve ritenere acquisito il diritto di esercitare l’attività di medico di medicina generale, senza il titolo di formazione, a tutti i medici che godono di questo diritto alla data di riferimento indicata”, che nel caso specifico è il 31 dicembre 1994 e non riguarda i medici che hanno promosso la causa. Le spese di lite, però, sono compensate, “tenuto conto della novità della questione e dell’esercizio, da parte dell’Avvocatura dello Stato, di attività difensiva non pertinente” rispetto al tema della controversia.

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