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Studio argentino: la terapia al plasma non riduce la mortalità da Covid

Farmaci Redazione DottNet | 26/11/2020 11:45

Dopo un mese non sono state notate differenze significative negli esiti della malattia con la mortalità che è risultata del 10.96% nel gruppo trattato e dell'11,43% nell'altro privo di cure

L'utilizzo del cosiddetto plasma iperimmune, quello cioè ottenuto dai pazienti guariti da Covid-19, non sembra avere effetti sul decorso della malattia quando viene usato come trattamento per la malattia. Lo affermano i risultati di un test condotto in Argentina pubblicati dal New England Journal of Medicine.  I ricercatori del consorzio PlasmaAr hanno selezionato 228 pazienti, assegnandoli random al trattamento con il plasma o a un placebo. Dopo un mese non sono state notate differenze significative negli esiti della malattia, con la mortalità che è risultata del 10.96% nel gruppo trattato e dell'11,43% nell'altro, mentre gli eventi avversi, sia lievi che gravi, sono risultati simili nei due gruppi. "Nel nostro test - scrivono gli autori nelle conclusioni - l'uso del plasma da convalescente insieme ai trattamenti standard i pazienti con polmonite grave dovuta a Covid-19 non riduce la mortalità o migliora gli esiti clinici dopo 30 giorni rispetto al placebo. Crediamo che l'uso di questa terapia come standard nelle cure di questo tipo di pazienti debba essere rivalutato. Studi ulteriori sul tema dovrebbero essere diretti ad altre popolazioni o ad interventi diversi, come l'uso di immunoglobuline endovena o di anticorpi monoclonali".  Il plasma iperimmune viene raccolto e utilizzato anche in Italia, dove sono in corso diversi studi di cui uno nazionale sull'efficacia. Al momento, afferma l'ultimo monitoraggio del Centro Nazionale sangue datato 19 novembre, nel paese ci sono 4.325 sub-unità di plasma iperimmune donato da pazienti guariti dal Covid-19, raccolto da 134 servizi trasfusionali distribuiti su tutto il territorio nazionale.

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fonte: New England Journal of Medicine, ansa

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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