È un’inversione di rotta quella compiuta negli ultimi anni dall’epatite B nel nostro Paese. Dopo il progressivo calo osservato a partire dagli anni ‘80 sia dei nuovi casi, sia della prevalenza del virus nella popolazione (passata dal 3 allo 0,8%), l’infezione da HBV sta oggi riproponendosi come problema.
L’inversione di tendenza dipende essenzialmente dai flussi migratori, combinata con la mancata copertura vaccinale di una buona fetta di connazionali. “La popolazione dai 29 anni in su (cioè chi aveva più di 12 anni nel 1991, anno di introduzione della vaccinazione obbligatoria) non ha ricevuto protezione dall’epatite B”, sottolinea il professor Massimo Colombo, Direttore 1a Divisione di Gastroenterologia della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Università degli Studi di Milano; “molti milioni di italiani sono quindi formalmente esposti al rischio di contrarre l’infezione”. Un rischio cui sono esposti soprattutto attraverso la trasmissione sessuale e a cui contribuisce l’elevata prevalenza del virus nelle popolazioni immigrate. “Abbiamo importato centinaia di migliaia di nuovi cittadini che provengono da aree in cui l’epatite B è endemica – spiega l’epatologo –. Oltre all’Asia e all’Africa, vi sono i Paesi dell’Europa Orientale e gli Stati della vecchia Unione Sovietica, che costituiscono serbatoi importanti di epatite B. Un numero sempre maggiore di adulti non immunizzati viene a contatto sessuale con portatori dell’infezione e sviluppa un’epatite acuta che, in alcuni casi, cronicizza”. Questi nuovi casi vengono ad aggiungersi alla popolazione di circa 500.000 portatori cronici dell’infezione che si calcola siano presenti in Italia, la metà dei quali ha una malattia del fegato, anche se spesso non lo sa. Non è raro, infatti, che un’epatite cronica non venga diagnosticata per molti anni. “Spesso il paziente con un’epatite cronica si rende conto della gravità della situazione solo quando è ormai vicino alla cirrosi o, comunque, quando l’epatite è florida e provoca sintomi – conferma Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione Pazienti EpaC –.
"Chiediamo il sostegno del Presidente Mattarella, per richiamare la cittadinanza. Sarebbe paradossale che le organizzazioni sindacali dovessero trovarsi a ragionare su un possibile sciopero contro i cittadini nella veste di pazienti"
"Per molti presidenti di Regione i medici di medicina generale dovrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale". "Mancano 4500 medici e 10mila infermieri"
Rea (Simg Lazio): “Tra le principali esigenze, è fondamentale l’inserimento di personale infermieristico e amministrativo. Come le farmacie dei servizi ricevono investimenti anche la Medicina Generale può moltiplicare le sue funzioni”
Questo codice, attualmente in vigore, limita fortemente la possibilità di dar seguito a uno sciopero vero ed efficace, ostacolando di fatto qualsiasi iniziativa
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