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Dal Corriere della Sera: «Così siamo riusciti a battere l'ictus sul tempo»

Medicina Generale Redazione DottNet | 26/10/2008 08:58

«Time is brain» dicono gli americani: il tempo è cervello. Lo sa bene Werner Hacke, direttore del dipartimento di neurologia dell'Università di Heidelberg in Germania, il medico che ha cambiato la storia dei pazienti europei colpiti da ictus.

Nel 2000, Hacke formula, con Marku Kaste dell'Università di Helsinki, le direttive per l'assistenza all'ictus e indica i requisiti fondamentali della Stroke Unit, modello di struttura nato nel '75 per combattere questa malattia. Anticipa così di 8 anni la medicina delle evidenze: quest'anno la revisione degli studi condotta dal gruppo Cochrane ha infatti confermato che queste Unità sono la migliore risposta al "nemico" che fa una vittima ogni 4 minuti. E che bisogna battere in velocità.
«Io ho sempre fretta — dice Hacke — ci sono troppe cose da fare e il tempo non basta mai ». Forse per questo, nonostante il clima di Heidelberg dove vive con la moglie Monika e i figli Nicola e Stefanie, preferisce spostarsi con la sua Harley-Davidson, la moto che non ha più abbandonato da quando, negli anni '90, dopo l'incarico all'Università di Berna, lavorava in California, alla Scripps Clinic and Research Foundation di La Jolla.

Ancora oggi, nonostante i 60 anni e qualche chilo in più, continua a usarla per raggiungere rapidamente il suo Dipartimento, dove lo aspettano i 20 letti della Stroke Unit e i 12 della Terapia Intensiva.
«Nel '99 solo l'1% degli americani sapeva che l'ictus è una delle principali cause di morte — racconta il neurologo tedesco, fra i primi a comprendere l'importanza che l'informazione riveste in questa malattia — e il 40% non ne conosceva i sintomi d'allarme. In Germania sapeva riconoscerli il 5% della gente. Abbiamo allora avviato campagne informative e le cose sono migliorate.
La gente ha capito che, quando si sospetta un ictus, bisogna rivolgersi subito al 118».
Hacke ha sempre sollecitato, non solo in Germania, la creazione di una rete capillare di strutture collegate fra loro per ridurre al minimo i tempi d'intervento: «Avevamo ragione, — afferma — con le Stroke Unit la sopravvivenza migliora, si riducono le complicanze, i pazienti sono mobilizzati e riabilitati prima e il personale è più attento alle loro esigenze. I danni maggiori, in tutto il mondo, derivano dal fatto che il malato non arriva in tempo a queste strutture». In Germania questo problema si è ridotto del 35% attivando il sistema TEMPIS: se, per esempio, al pronto Soccorso di un ospedale di Strasburgo arriva un paziente con sospetto ictus, basta una telefonata per entrare in videoconferenza con la più vicina Stroke Unit dell'Università di Regensburg. Mentre il paziente viene esaminato, una videocamera trasmette le immagini della visita, quelle radiografiche e della risonanza magnetica agli specialisti che, così, possono consigliare i colleghi meno esperti.
«Lo stesso non si può dire per il nostro Paese, anche se alcune regioni come la Lombardia abbondano di Stroke Unit (25) rispetto ad altre del Sud dove non ce ne sono ancora abbastanza" commenta con un po' d'invidia per l'efficienza teutonica Danilo Toni, neurologo de La Sapienza di Roma che ha coordinato i medici italiani nelle principali ricerche Werner Hacke
 

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