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Da Il Sole24ore: il check up diventa globale

Medicina Generale Redazione DottNet | 01/11/2008 10:30

È una rivoluzione silenziosa. Che cambia il volto non solo dei servizi sanitari, ma anche della ricerca medica e degli investimenti mondiali nelle infrastrutture dedicate alla salute. Cambierà persino le strategie dei grandi gruppi assicurativi oltre che dei pazienti, soprattutto in questo periodo di crisi globale. E in prospettiva porrà anche problemi politici e sociali finora inediti.
 

Il turismo medicale, attivato dalla diminuzione dei costi del trasporto aereo e dall'utilizzo di Internet per disintermediare le relazioni fra pazienti e medici (ovunque siano nel mondo), cresce rapidamente. Secondo Michael Zey, 54 anni, docente universitario negli Usa, consulente con la sua società Expansionary Institute e autore tra gli altri libri di "Ageless Nation", nel 2010 sarà un business da 40 miliardi di dollari che muoverà 780 milioni di pazienti attraverso il mondo. I flussi vanno dai Paesi più industrializzati agli emergenti, in particolare Cina, India, ma anche Thailandia, Filippine, Singapore.
«C'è alle porte – dice Zey – un periodo di crescita del turismo medicale, alimentato sia dall'industria del turismo che da quella sanitaria. Si viaggerà sempre di più per farsi curare con procedure d'eccellenza, in Paesi in cui è possibile anche fare degenze simili a una vacanza. Spendendo una frazione del costo pagato negli ospedali americani o europei, spinti anche dal bisogno di contenere i costi in questa fase economica di crisi e favoriti dalla diminuzione del carburante degli aerei, verso strutture certificate da soggetti indipendenti come la Joint Commission International».


Un americano già oggi risparmia 80mila dollari se va a farsi fare un trapianto di fegato in Malaysia, 42mila se deve cambiare una valvola cardiaca e va a Cipro, 55mila per operarsi di tumore a Istanbul.
Oggi il problema è la mancanza di attenzione al fenomeno. «La spesa sanitaria – commenta Zey – è un problema per il budget degli Usa come dei Paesi europei. Ma ad esempio i candidati alla Casa Bianca non hanno nemmeno sfiorato il tema del turismo medicale. È una ironia, perché i politici, che spesso sono male informati, hanno negli anni spinto per una competizione internazionale in tanti altri settori, avallando il modello dell'outsourcing industriale e dei servizi, ma hanno tralasciato questo». L'evoluzione nei prossimi anni sarà talmente profonda che, secondo Zey, anche continuare a chiamarlo semplicemente "turismo medicale" diventerà riduttivo. «Solo che – dice Zey – non c'è ancora un nome per descrivere questo outsourcing che sta creando il primo, vero mercato globale della salute».
C'è però un punto di possibile crisi nel prossimo futuro.
Se è vero che il turismo medicale ha il vantaggio di alleggerire la pressione sui sistemi sanitari nazionali dei Paesi occidentali e di democraticizzare le terapie d'avanguardia, a lungo fuori portata per i meno abbienti delle società industrializzate, il rischio è quello di scontri neanche troppo sotterranei fra soggetti diversi: «I dottori e gli ospedali – osserva Zey – sentiranno la pressione della competizione dei prezzi nel mercato globale della salute: chirurgia, anestesia, persino il costo di soggiorno in ospedale. E alcune strutture nazionali si opporranno alla richiesta dei pazienti e degli assicuratori per difendere la loro posizione centrale nei sistemi sanitari nazionali. In dieci anni il turismo medicale diventerà un problema molto rilevante per l'agenda dei politici».
Però, uno degli effetti della globalizzazione della sanità, con il conseguente spostamento dei flussi di denaro, avrà anche un'altra conseguenza. Da un decennio la ricerca biomedica trova sempre più spazio nell'agenda di molti Paesi emergenti. Adesso, verrà alimentata con ancor più vigore dai proventi dell'industria del turismo medicale. «E questi Paesi – dice Zey – saranno quelli che faranno le maggiori innovazioni nel settore sia della ricerca che delle terapie medicali».
Già oggi un'azienda come TheraVitae, israelo-vietnamita, lavora su terapie con cellule staminali per i malati di cuore, mentre a Chennai, in India, gli istituti di ricerca medica indagano le terapie geniche, la ricerca sulle staminali, le nanotecnologie, l'ingegnerizzazione dei tessuti, le cure per il diabete.
Ma per Zey non c'è rosa senza spine: «Rimane sempre aperto il tema della responsabilità civile e penale di strutture e di medici che si trovano dall'altra parte del mondo nel caso qualcosa vada male; senza contare che pur di rimanere sul mercato, gli ospedali europei ed americani si attrezzeranno sempre più con strumenti di telemedicina, magari dando in outsourcing proprio agli asiatici lo svolgimento non solo delle analisi, ma anche di alcune operazioni per le quali il costo di un chirurgo occidentale è troppo elevato e che con i sistemi robotizzati possono essere fatte anche da migliaia di chilometri di distanza».
 

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