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Dall'Espresso: Vaccini all'assalto dei big killer

Medicina Generale Redazione DottNet | 09/11/2008 09:29

Paolo soffre di obesità: ha provato, senza successo, diverse diete e alcuni trattamenti e l'unica carta che gli rimane da giocare è l'intervento chirurgico, con tutti i rischi che questo comporta. Matteo, nonostante vari tentativi, non riesce a rinunciare alle sue 20 sigarette quotidiane. Laura, invece, ha la pressione alta: per tenerla sotto controllo deve prendere una pillola ogni giorno, ma spesso se ne dimentica.

 

Nel giro di alcuni anni, però, la loro vita, e quella di milioni di persone come loro, potrebbe cambiare radicalmente, grazie a quella che alcuni non esitano a definire la 'seconda rivoluzione dei vaccini'. La prima, nel secolo scorso, ha portato a contrastare gravissime malattie infettive, a partire dalla poliomielite e dal vaiolo. Soprattutto nel mondo della ricerca privata, infatti, c'è grande fermento attorno alla possibilità di sviluppare nuovi vaccini 'non convenzionali', diretti contro i big killer di oggi, malattie cardiovascolari in testa. O contro condizioni che, pur non essendo vere e proprie malattie, possono comunque rovinare la vita, come la dipendenza da cocaina.

Tra i teorici più entusiasti di questa seconda rivoluzione c'è lo svizzero Martin Bachmann, formatosi nel laboratorio del premio Nobel per la medicina Rolf Zinkernagel e oggi responsabile scientifico della Cytos Biotechnology, azienda leader del settore, con diverse novità in pipeline.

"La popolazione mondiale sta invecchiando e, specie nei paesi industrializzati, le principali minacce alla salute non vengono più da virus e batteri, ma da patologie croniche, quali le malattie cardiovascolari o le malattie legate all'invecchiamento, come il morbo di Alzheimer", afferma: "Spesso, queste malattie sono legate a fattori di rischio noti, per esempio l'ipertensione, il colesterolo elevato e l'aterosclerosi, l'obesità o l'abitudine al fumo, molti dei quali sono associati a stili di vita deleteri, ma difficilissimi da eliminare. Dato il successo dei vaccini nei confronti delle malattie infettive, è sembrato logico a molti provare a utilizzare lo stesso approccio anche per questi fattori di rischio e, in generale, per le moderne epidemie di malattie croniche".

Risultato: sono ormai decine le ricerche centrate su nuovi vaccini specifici per sostanze esogene che creano dipendenza (nicotina, cocaina, metanfetamine) o molecole endogene coinvolte nella modulazione del peso corporeo, dei livelli di colesterolo o della pressione del sangue. Nella maggioranza dei casi, i test condotti su animali modello hanno dato risultati molto incoraggianti. E buone notizie sembrano arrivare anche dai primi casi di sperimentazione nell'uomo. Al punto che Bachmann annuncia con sicurezza: "Sono molto ottimista sul fatto che, entro 4-5 anni, almeno alcuni di questi vaccini potranno arrivare sul mercato".

Tutto è nato da una maggiore comprensione del sistema immunitario: "Negli ultimi 20-30 anni, abbiamo fatto passi da gigante nella conoscenza dei meccanismi dell'immunità", spiega l'immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Istituto Humanitas di Rozzano e docente di Patologia generale all'Università di Milano: "Due le ricadute fondamentali di questi progressi: da un lato, la scoperta che anche malattie insospettabili, come l'Alzheimer o l'infarto, hanno una concausa di tipo immunitario o infiammatorio; dall'altro, la messa a punto di nuovi strumenti per intervenire quando qualcosa non funziona". Ne sono un esempio gli anticorpi monoclonali, una delle categorie di farmaci più innovative, impiegate nel trattamento di alcune forme di tumori e di alcune malattie autoimmuni come l'artrite reumatoide.

"Il trattamento con gli anticorpi monoclonali si basa sul concetto di vaccinazione passiva, in cui si somministrano al paziente anticorpi 'già pronti' ad attaccare alcune molecole specifiche. Ora, invece, vogliamo puntare alla vaccinazione attiva, come quella per l'influenza o il morbillo, in cui il vaccino stimola l'organismo del paziente a produrre da sé gli anticorpi di cui ha bisogno per sconfiggere una malattia o una dipendenza", spiega Bachmann.

Nel caso di vaccinazioni contro droghe come la nicotina o la cocaina questo è relativamente semplice, perché in entrambi i casi si tratta di sostanze estranee all'organismo. La difficoltà principale sta nel fatto che le loro molecole sono troppo piccole per attivare da sole la risposta immunitaria e devono quindi essere legate ad altre molecole (per esempio proteine di varia natura o particelle di tipo virale) per raggiungere una massa sufficiente. Una volta indotta la produzione di anticorpi con il vaccino, il sistema immunitario rimarrà attivo anche nei confronti delle molecole isolate. Nicotina e cocaina verranno intercettate dal sistema immunitario al loro ingresso nella circolazione sanguigna (subito dopo l'assunzione): si formerà così un complesso troppo grande per consentire allo stupefacente di attraversare la barriera ematoencefalica e raggiungere il cervello. Questo significa che non potranno essere attivati quei meccanismi cerebrali di gratificazione che sono alla base della dipendenza: cercare e assumere la droga diventerà solo una perdita di tempo e di denaro.

Se invece il bersaglio del vaccino è una molecola endogena, per esempio il colesterolo nel caso dell'aterosclerosi, l'ormone grelina o il peptide inibitore gastrico per l'obesità, l'angiotensina I o II per l'ipertensione e la proteina beta-amiloide per l'Alzheimer, la situazione è più complicata. A partire dal fatto che bisogna indurre il sistema immunitario a riconoscere come nemiche molecole che è abituato a considerare sicure. I ricercatori affrontano il problema in vari modi: alla Cytos Biotechnology, per esempio, combinano la molecola contro la quale si vuole indurre l'immunità a particelle di tipo virale, che funzionano come bandierine segnalatrici per il sistema immunitario.

Oltre a questo, però, la vaccinazione contro bersagli endogeni pone il grande problema della reversibilità. "Consideriamo l'ipertensione: benissimo disporre di un trattamento che abbassi la pressione, ma ci sono condizioni in cui vorremmo che l'organismo possa comunque modularla. Questo è possibile con i farmaci, perché basta sospenderli. Ma con un vaccino?", si chiede Mantovani. Difficilmente, inoltre, gli ormoni (come sono molte delle molecole bersaglio di questi nuovi vaccini) svolgono una sola funzione e bisogna essere certi che la loro inattivazione da parte del vaccino non abbia effetti collaterali indesiderati su altre funzioni, magari visibili solo a lungo termine. Di recente, per esempio, si è scoperto un coinvolgimento della grelina nei meccanismi della memoria e dell'apprendimento. Quale potrebbe essere l'impatto sulle funzioni cognitive di un vaccino antigrelina?

Certo, i vantaggi dell'impiego di un vaccino contro dipendenze o patologie croniche sarebbero notevoli. "Intanto, avremmo a disposizione un'arma in più; un'arma per la quale esistono già reti globali di distribuzione e somministrazione, che gode di una diffusa accettabilità sociale e perfettamente sostenibile dal punto di vista economico", afferma Bachmann. Senza trascurare l'impatto positivo sulla vita dei pazienti. "Consideriamo il caso dell'ipertensione: è vero che esistono trattamenti farmacologici di provata efficacia. Ma è anche vero che molti pazienti non li seguono nel modo corretto, per il disagio di dover prendere troppi farmaci in un giorno, magari in assenza di sintomi evidenti. E lo stesso accade anche per il colesterolo elevato. In questi casi, disporre di un vaccino che preveda solo poche somministrazioni all'anno renderebbe più semplice seguire la terapia".

Una volta verificata la funzionalità dell'approccio, poi, all'orizzonte si staglierebbe la straordinaria possibilità di curare anche molte altre malattie causate da sostanze endogene attraverso una semplice modulazione del sistema immunitario. La prova del nove, cioè la sperimentazione a lungo termine su un gran numero di pazienti, deve ancora essere raggiunta. E per rimanere con i piedi per terra, Mantovani fa notare che "per ora, sappiamo che questi vaccini sono utili in animali da laboratorio e, al massimo, che sono sufficientemente sicuri per l'uomo, ma non abbiamo dati sulla loro reale efficacia nei pazienti". Ma la straordinaria mole di conoscenze messe a disposizione negli ultimi vent'anni dall'immunologia e dalla biologia molecolare hanno aperto una nuova strada, impensabile fino a pochi anni fa. L'idea di aggiustare il nostro sistema immunitario e correggere le malattie croniche con un vaccino è la nuova frontiera, fatta di molecole, persone che le sperimentano, e aziende che ci investono. Non più solo un utopia medica.

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