Non “sfondano” tra i medici di famiglia e neanche tra gli assistiti. E aprirle non è poi così facile come pareva, almeno a giudicare da quanto sta accadendo in qualche regione. Problemi su problemi per le Case della Salute, il modello organizzativo della medicina generale che a oggi sembra raccogliere i maggiori consensi tra gli amministratori locali: Toscana ed Emilia Romagna hanno fatto da apripista ma oggi dietro di loro c’è un bel gruppetto di “imitatori” che comprende Lazio, Puglia, Sardegna, Liguria, Friuli Venezia Giulia e altre ancora.
Come riporta Filodiretto di Federfarma, molte procedono a singhiozzo e non sempre alle parole riescono a far seguire subito i fatti, ma non c’è dubbio che le “Case” sono di moda un po’ dappertutto.
Almeno è così tra i politici, perché tra chi in queste strutture deve andare a lavorare – cioè i medici di famiglia – o a farsi curare – gli assistiti – non si avverte lo stesso consenso. La prova più convincente arriva dal comunicato diffuso il 30 dicembre dalla Fimmg di Bologna, eloquente fin dal titolo: le Case della Salute non sono l’elisir di tutti i mali. E’ un documento interessante, perché a livello nazionale questo sindacato propugna da tempo l’associazionismo complesso. In Emilia Romagna, tuttavia, la Regione va avanti sul tema tipo schiacciasassi e i mmg non apprezzano. «La Regione» si legge nella nota «si è subito preoccupata di definire grandezza e struttura delle Case della Salute, ma nulla è stato fatto per affrontare il problema dell’organizzazione, della gestione e di percorsi, e soprattutto la ricerca di modelli e di risposte condivise con i professionisti». I quali, tra l’altro, ancora attendono risposte alle domande che più contano: «All’interno di questa organizzazione complessa quale rapporto di lavoro avranno? Quali integrazioni manterranno e che garanzie di copertura previdenziale avranno rispetto alla realtà di partenza? Nella prospettiva di una copertura oraria sulle 24 ore come sarà il turno di lavoro? C’è il rischio di realizzare ossimori anziché dare risposte».
Le perplessità non sono solo bolognesi. Lo Snami (il sindacato più rappresentativo della mg dopo la Fimmg) dice no da tempo alle aggregazioni complesse (non solo le “Case”, anche Utap e Uccp), perché «snaturerebbero il rapporto medico paziente che è alla base del gradimento indiscusso della medicina generale» e farebbero sparire «gli studi medici nei piccoli paesi a vantaggio dei grossi supermarket della sanità, lontano dalle case dei pazienti e dai paesi».
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Fonte: federfarma
"Chiediamo il sostegno del Presidente Mattarella, per richiamare la cittadinanza. Sarebbe paradossale che le organizzazioni sindacali dovessero trovarsi a ragionare su un possibile sciopero contro i cittadini nella veste di pazienti"
"Per molti presidenti di Regione i medici di medicina generale dovrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale". "Mancano 4500 medici e 10mila infermieri"
Rea (Simg Lazio): “Tra le principali esigenze, è fondamentale l’inserimento di personale infermieristico e amministrativo. Come le farmacie dei servizi ricevono investimenti anche la Medicina Generale può moltiplicare le sue funzioni”
Questo codice, attualmente in vigore, limita fortemente la possibilità di dar seguito a uno sciopero vero ed efficace, ostacolando di fatto qualsiasi iniziativa
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