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Dal Corriere della Sera: Qualche chilo in più salva la vita

Medicina Generale Redazione DottNet | 23/11/2008 10:14

Attenzione a non farsi trarre in inganno: non è il solito richiamo a dimagrire, con la risaputa differenza tra il corpo "a mela" o "a pera", a seconda che la distribuzione dell'adipe prevalga sulla pancia o sui fianchi.

E' vero che lo studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine ribadisce come la mortalità possa essere legata all'aumento dell'adiposità, soprattutto a quella addomina-le, ma leggendo tra le righe si scopre che questo lavoro apporta importanti novità. Smentendo l'idea che più magro sia sempre meglio e sottolineando il valore del giro vita, anche quando il peso è normale o addirittura sotto la norma. Inoltre è il primo studio condotto su una popolazione di quasi 360mila persone provenienti da 9 paesi europei; altre indagini condotte in Europa avevano infatti dimensioni molto più limitate.
«La ricerca ha utilizzato l'imponente massa di dati provenienti dallo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition)», spiega Paolo Vineis, professore ordinario di epidemiologia ambientale all'Imperial College di Londra, che ha partecipato al lavoro, «e ha dimostrato che il minor rischio di morire nei quasi dieci anni di osservazione lo avevano gli uomini con un indice di massa corporea di 25,3 e per le donne con 24,3».
Come dire, non gli obesi, ma nemmeno i troppo magri.

L'indice di massa corporea è un parametro ormai molto noto, che si calcola dividendo il peso in chilogrammi per il quadrato dell'altezza in metri: se il risultato è inferiore a 18,5, la persona è sotto peso; un valore compreso tra questo limite inferiore e 24,9 è considerato nella norma; a partire dai 25 è sovrappeso e solo dai 30 in su si parla di obesità.
Il rischio minimo quindi è tra gli uomini in leggero sovrappeso e tra le donne ai limiti superiori della norma, quelle che si definirebbero per lo meno ben in carne, già fuori dell'ambito richiesto dai canoni estetici odierni. I veri rischi per la salute non riguardano quindi il banale sovrappeso che affligge milioni di persone, per ragioni sostanzialmente estetiche, visti i modelli dominanti, ma la vera e propria obesità: usando sempre come parametro l'indice di massa corporea, la mortalità comincia ad aumentare leggermente solo dopo il 26,5 per gli uomini e il 28 per le donne, ma fino a un certo punto sale anche quando si cala al di sotto del peso ideale.
«Tecnicamente si parla di un grafico a J», prosegue Vineis, «perché la forma della curva disegnata sul grafico (vedi a fianco) ricalca quella della lettera J, con un valore più alto di mortalità in rapporto ai più bassi livelli di indice di massa corporea, che scende per poi risalire sempre più quando l'obesità si fa grave». Non bisogna sottovalutare questo aspetto, perché le ricerche dimostrano come sia comune avere una errata percezione, per lo più una sottovalutazione, del proprio peso corporeo.
«Invece il nostro lavoro mostra che il rischio maggiore è proprio per chi ha un indice di massa corporea più basso, ma una maggiore circonferenza addominale o un più alto rapporto tra questa e quella misurata a livello dei fianchi», interviene lo studioso: «Se ad alti livelli di indice di massa corporea un maggior giro vita rispecchia l'aumento del rischio dovuto all' adiposità generale, nelle persone normo o sottopeso un giro vita più largo o comunque un accumulo del grasso concentrato sulla pancia rispetto ai fianchi appare ancora più fortemente correlato al rischio di mortalità: in altre parole, anche in una persona senza problemi di sovrappeso è importante misurare il giro vita come indicazione di rischio".
L'operazione è semplice, basta un metro da sartoria. E sebbene nell'analisi siano stati considerati in un primo momento solo soggetti in cui la valutazione è stata effettuata da personale sanitario, aggiungendo anche i dati relativi a chi si era misurato da solo i risultati non cambiavano.
 

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