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Dal Corriere della Sera: Il «laboratorio» degli organi

Medicina Generale Redazione DottNet | 01/12/2008 19:18

Non regge il confronto con la salamandra capace di rigenerare zampe, coda e, perfino, parti del cuore, ma è un successo il risultato ottenuto da Paolo Macchiarini, chirurgo italiano «emigrato» in Spagna. Il suo gruppo ha restituito ad una ragazza colombiana, Claudia Lorena Castillo, una trachea funzionante. Un organo ingegnerizzato a partire da quello di una donatrice, «ripulito» da tutti i tessuti originari e ricoperto con cellule staminali del midollo osseo e della pelle di Claudia.

 

È quella che gli esperti chiamano medicina rigenerativa, ovvero la possibilità di sostituire tessuti usurati, malati o, comunque, difettosi con analoghi prodotti in laboratorio a partire dalle stesse nostre cellule riportate allo stadio multipotente (staminale). Il laboratorio è un passaggio obbligato perché ad eccezione del fegato che ha una straordinaria capacità rigenerativa (dopo l'asportazione di un lobo, le cellule residue si moltiplicano fino a ridare all'organo la dimensione originale) e della pelle che cicatrizza con grande velocità, l'uomo non riesce a rigenerarsi. Ma restano nel suo corpo «isole» di cellule che conservano questa capacità nel midollo osseo, nella pelle, nell'intestino, nel grasso, in piccolissime quantità in tutti gli organi, cuore e cervello compresi. Cellule sfruttate, o meglio «forzate» a riattivarsi dagli ingegneri dei tessuti.
Dagli anni Ottanta ad oggi dopo i primi tentativi (andati a buon fine, a Boston nel 1974, ad opera di Howard Green) di rigenerare l'epidermide, le strade di ricerca sono state tantissime, in ogni direzione, coronate talvolta da successo, lastricate spesso di fughe in avanti. La pelle ricostruita in laboratorio è oggi una terapia d'elezione per i grandi ustionati (da un lembo di tessuto del paziente si riesce ad ottenere strisce di pelle neoformata). «Ma non è diffusa quanto potrebbe esserlo — sottolinea Mario Marazzi, responsabile della terapia tissutale dell'ospedale Niguarda di Milano — . In Europa i laboratori capaci di farla sono meno di dieci». Dalla pelle per gli ustionati alla pelle artificiale per testare farmaci e cosmetici: nei laboratori della L'Oréal, completa di epidermide e derma è comparsa nel 1986, arricchita anche dei melanociti nel 1994.

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Modesti, invece, nonostante i tentativi, i benefici dei lembi di pelle rigenerata nelle ulcere da decubito e in quelle dei diabetici. «Il problema scaturisce dalla profondità di queste lesioni e dal fatto che spesso sono infette: i lembi restano utili come medicazione biologica» precisa Marazzi. Buoni i risultati della rigenerazione della cornea lesionata a partire dalle sue cellule staminali (il primo intervento risale al 1997, autore Michele De Luca che è arrivato a quota 250) e della cartilagine prodotta dai condrociti del paziente espansi in laboratorio. Si impiega per lesioni traumatiche del ginocchio e della caviglia soprattutto in ambito sportivo (maggiori clienti i giocatori di hockey e di calcio). Ma in questo ambito la scommessa, ancora tutta da vincere, è quella di rigenerare le articolazioni consunte dell'artrosi.
Qualche successo sensazionale c'è, come quello ottenuto da uno dei «maghi » dell'ingegneria dei tessuti, Anthony Atala, direttore dell'istituto di medicina rigenerativa della Wake Forest  university nella North Carolina. Atala ha impiantato a sette ragazzi fra i 4 e i 19 anni, tutti portatori di spina bifida, una neovescica costruita in laboratorio. Come? Su una impalcatura fatta di collagene e acido poliglicolico sono state spalmate le cellule del rivestimento interno della vescica (uroteliali) e quelle muscolari prelevate dal paziente, tutte espanse massicciamente in laboratorio. Ma questa strada, se ha permesso (nel coniglio) anche la rigenerazione dei corpi cavernosi del pene e quella del disco intervertebrale (per ora, solo in laboratorio), si è fatta tortuosa una volta arrivata al cuore. L'idea, messa in atto per la prima volta una decina di anni fa era che le cellule staminali del midollo osseo (o prese dai muscoli e fatte tornare immature) iniettate nel-l'area del cuore infartuata o affaticata dalla scompenso, si «accasassero» diventando cellule cardiache. Ma gli effetti si sono rivelati evanescenti nel tempo o, comunque, modesti (1000 gli interventi finora), tanto che una review della rivista Nature arriva alla conclusione che le cellule trapiantate, ben lungi dal diventare cellule muscolari (cardiomiciti), liberano soltanto sostanze capaci di ridare vigore al tessuto cardiaco e per un periodo limitato. «È possibile — commenta Guido Pompilio, a capo della ricerca clinica di terapia rigenerativa dell'Istituto Monzino di Milano — . Noi, però, andiamo avanti: partecipiamo ad uno studio coordinato da Francoforte su persone appena colpite dall'infarto». Nel mondo scientifico c'è chi propone una fase di ripensamento. Come Gianvito Martino, direttore della divisione di neuroscienze dell'Istituto San Raffaele di Milano: «Abbiamo sottovalutato l'influenza dei tessuti in cui trasferiamo queste cellule; abbagliati dal miraggio della loro totipotenza, non abbiamo capito che le staminali sono, forse, principalmente dei catalizzatori della rigenerazione».
 

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