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Dal Corriere della Sera: Epilessia: subito il bisturi quando la cura fa cilecca

Medicina Generale Redazione DottNet | 07/12/2008 09:54

È considerato l'ultima spiaggia della cura dell'epilessia l'intervento che asporta le aree del cervello da cui si originano le crisi. Eppure uno studio pubblicato dal giornale dell'associazione dei medici americani, Jama, condotto alla Columbia University di New York e in altre università americane, ribalta questa idea: l'opzione chirurgica andrebbe presa in esame molto prima rispetto a quanto si tende a fare oggi perché dà risultati migliori quanto più è precoce.
 

Utilizzando un modello informatico che ha incorporato i risultati di studi precedenti, i ricercatori hanno trovato che il paziente tipo — un trentacinquenne con una forma di epilessia che origina nel lobo temporale, e che non risponde ad almeno due farmaci — guadagna con l'intervento cinque anni di vita e ne vede migliorare sensibilmente la qualità. In media, si legge sulla rivista americana, per l'epilessia che origina nel lobo temporale (la forma più comune, e che più spesso non risponde ai farmaci) «L' intervento ottiene la guarigione completa nei due terzi dei pazienti, ma l'età avanzata e una lunga storia di epilessia riducono la probabilità di risolvere la malattia».
Secondo gli autori, dunque, la chirurgia dovrebbe essere presa in considerazione quando due regimi terapeutici diversi hanno già fallito e se il paziente ha crisi che compromettono la sua qualità della vita. «Se due farmaci non hanno dato risultati significativi, la probabilità che un terzo abbia effetto è del cinque per cento; l'intervento chirurgico, perciò, non andrebbe ritardato ulteriormente — conferma Giorgio Lo Russo, direttore dell'unità operativa di chirurgia C.

Munari, all'Ospedale Niguarda di Milano — . Purtroppo, la maggior parte dei pazienti che operiamo ha almeno 25 anni di malattia alle spalle. E questo è tanto più preoccupante se si considera che una lunga storia di epilessia può compromettere la crescita psicologica e sociale e che, specie nei bambini, può interferire con lo sviluppo del cervello».
Ma il fatto che la malattia non risponda ai farmaci non è il solo motivo per cui si può decidere di optare per l'intervento. «Ci sono persone che grazie alle medicine riescono a controllare bene l'epilessia — spiega Angelo Franzini, responsabile della neurochirurgia funzionale dell'Istituto neurologico Besta di Milano — .
Ma altre in cui il sopore e gli effetti collaterali delle medicine sono tali da rendere impossibile una vita normale. Anche in questi casi, l'intervento chirurgico è la scelta migliore». «Inoltre — riprende Lo Russo — va tenuto presente che i farmaci controllano la malattia, ma non la curano. Mentre l'intervento chirurgico è risolutivo».
Già, ma con quali rischi? Secondo un'indagine dell'  American Academy of Neurology,
pubblicata nel 2003, le complicazioni transitorie legate all'operazione (quelle cioè che si risolvono entro tre mesi) colpiscono l'otto per cento dei pazienti; quelle permanenti il quattro per cento. «Come per altri interventi, le complicazioni sono legate all'anestesia, alla possibilità che ci siano infezioni o a errori del chirurgo» dice Lo Russo. Ma poiché qui si interviene sul cervello, possono causare deficit di tipo neurologico.
«Del resto — conclude l'esperto — i malati sono in genere molto disponibili a farsi operare se vedono la possibilità di migliorare la loro condizione. E il motivo per cui la chirurgia è ancora praticata troppo poco non è certo la mancanza di pazienti disposti a farla». Teniamo presente che in Italia ci sono 500 mila malati di epilessia e di questi il 30 per cento non risponde ai farmaci.
In Italia, dove ogni anno si eseguono circa 200 interventi, «Il sottoutilizzo della chirurgia è dovuto principalmente alla mancanza di strutture e di personale specializzato. La fase prechirurgica, quella in cui si decide se il paziente è operabile e come deve essere eseguito l'intervento, richiede infatti esami lunghi e complessi, e i centri attrezzati in Italia sono appena una decina » conclude Lo Russo.
 

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