Portare a casa del paziente le cure ospedaliere conviene. Sia ai malati, sia alle strutture sanitarie. È quanto emerge da una ricerca, pubblicata sul Canadian Medical Association Journal, che ha valutato i risultati di dieci studi clinici, due dei quali realizzati in Italia, all'Ospedale Le Molinette di Torino, e gli altri in Australia, Gran Bretagna, Nuova Zelanda. Complessivamente gli studi hanno coinvolto 1327 pazienti, in parte ricoverati e in parte assistiti a domicilio, per patologie diverse, dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), all'ictus, dall'ischemia, alla polmonite, alla demenza.
In sintesi, nei malati curati a casa, a sei mesi dall'inizio dei singoli studi si è registrato, innanzitutto, un minore tasso di mortalità. Inoltre, è risultato generalmente maggiore il grado di "soddisfazione" per le cure ricevute. Per di più, gli interventi di assistenza domiciliare sono costati meno rispetto alla spesa complessiva per i ricoveri.
Tra le sperimentazioni prese in considerazione, come si è detto, quelle svolte dal servizio di Ospedalizzazione a domicilio torinese, attivo dal 1985. Un trial clinico ha coinvolto pazienti anziani (più di 75 anni) colpiti da ictus, in fase acuta ma non grave, curati in parte in ospedale e in parte a domicilio. Ebbene, in quelli curati a casa il tono dell'umore è migliorato in modo più significativo rispetto a quanto è accaduto ai ricoverati e in meno casi si è dovuti ricorrere al trasferimento in strutture per lungodegenti.
Ma non è questa l'unica sperimentazione del gruppo torinese nei suoi quasi 25 anni d'attività. Risultati altrettanto positivi sono emersi da uno studio su anziani affetti da demenza e con altre patologie in fase acuta: le cure a domicilio hanno ridotto sensibilmente la comparsa di disturbi comportamentali, l'uso di farmaci antipsicotici, nonché lo stress di chi prestava assistenza e il ricorso a "case di riposo".
"Chiediamo il sostegno del Presidente Mattarella, per richiamare la cittadinanza. Sarebbe paradossale che le organizzazioni sindacali dovessero trovarsi a ragionare su un possibile sciopero contro i cittadini nella veste di pazienti"
"Per molti presidenti di Regione i medici di medicina generale dovrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale". "Mancano 4500 medici e 10mila infermieri"
Rea (Simg Lazio): “Tra le principali esigenze, è fondamentale l’inserimento di personale infermieristico e amministrativo. Come le farmacie dei servizi ricevono investimenti anche la Medicina Generale può moltiplicare le sue funzioni”
Questo codice, attualmente in vigore, limita fortemente la possibilità di dar seguito a uno sciopero vero ed efficace, ostacolando di fatto qualsiasi iniziativa
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