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Dal Corriere della Sera: L'ospedale a casa tua

Medicina Generale Redazione DottNet | 15/02/2009 10:24

Portare a casa del paziente le cure ospedaliere conviene. Sia ai malati, sia alle strutture sanitarie. È quanto emerge da una ricerca, pubblicata sul Canadian Medical Association Journal, che ha valutato i risultati di dieci studi clinici, due dei quali realizzati in Italia, all'Ospedale Le Molinette di Torino, e gli altri in Australia, Gran Bretagna, Nuova Zelanda. Complessivamente gli studi hanno coinvolto 1327 pazienti, in parte ricoverati e in parte assistiti a domicilio, per patologie diverse, dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), all'ictus, dall'ischemia, alla polmonite, alla demenza.
 

In sintesi, nei malati curati a casa, a sei mesi dall'inizio dei singoli studi si è registrato, innanzitutto, un minore tasso di mortalità. Inoltre, è risultato generalmente maggiore il grado di "soddisfazione" per le cure ricevute. Per di più, gli interventi di assistenza domiciliare sono costati meno rispetto alla spesa complessiva per i ricoveri.
Tra le sperimentazioni prese in considerazione, come si è detto, quelle svolte dal servizio di Ospedalizzazione a domicilio torinese, attivo dal 1985. Un trial clinico ha coinvolto pazienti anziani (più di 75 anni) colpiti da ictus, in fase acuta ma non grave, curati in parte in ospedale e in parte a domicilio. Ebbene, in quelli curati a casa il tono dell'umore è migliorato in modo più significativo rispetto a quanto è accaduto ai ricoverati e in meno casi si è dovuti ricorrere al trasferimento in strutture per lungodegenti.
Ma non è questa l'unica sperimentazione del gruppo torinese nei suoi quasi 25 anni d'attività. Risultati altrettanto positivi sono emersi da uno studio su anziani affetti da demenza e con altre patologie in fase acuta: le cure a domicilio hanno ridotto sensibilmente la comparsa di disturbi comportamentali, l'uso di farmaci antipsicotici, nonché lo stress di chi prestava assistenza e il ricorso a "case di riposo".

In anziani affetti da BPCO riacutizzata, invece, l'ospedalizzazione a domicilio ha consentito di ridurre le complicanze (soprattutto infettive) e il numero dei nuovi ricoveri, con ricadute positive sulla qualità di vita dei malati, sul livello di tensione emotiva dei familiari (i cosiddetti caregiver) ed anche sui costi: un 30% in meno rispetto a quelli in reparto.
«L'ospedalizzazione a domicilio è un ponte tra la struttura e la casa; — spiega Nicoletta Aimonino Ricauda, responsabile del servizio torinese — di fatto, un ricovero ospedaliero tra le mura domestiche per un target specifico di pazienti e famiglie. I pazienti ci vengono segnalati dai colleghi del pronto soccorso o dei reparti di degenza e un gruppo interno valuta sia il malato sia la famiglia. Se i pazienti e i familiari sono favorevoli, dopo gli accertamenti diagnostici necessari, si attiva il servizio. Un'équipe composta da 3 geriatri, 13 infermieri professionali, 1 counsellor, 1 assistente sociale e 3 fisioterapisti garantisce visite quotidiane; se serve, più di una volta al giorno.
Seguiamo in media 25 pazienti al giorno, mentre dall'inizio della nostra esperienza abbiamo assistito oltre 10 mila malati che avrebbero richiesto frequenti ricoveri e che, invece, hanno tratto gran giovamento dal poter restare, ben curati, a casa propria».
Sulla qualità dell'assistenza, Aimonino non ha dubbi: «Cerchiamo di portare nelle case la stessa professionalità che c'è in ospedale e, per quanto possibile, anche gli stessi strumenti. Facciamo emotrasfusioni, chemioterapia, antibioticoterapia in vena, accertamenti diagnostici come ecografie, ecocardiogrammi o spirometrie. Da sei mesi sperimentiamo anche fattibilità, utilità ed efficacia di un servizio di radiologia domiciliare, grazie ad un apparecchio portatile».
Ma non sono i pazienti gli unici a poter beneficiare dell' ospedale a domicilio: «Proprio recentemente abbiamo calcolato — dice la geriatra — che un giorno di cure a casa costa 150-160 euro, certamente meno di una giornata di degenza. E il poter trasferire a casa dei malati le cure di cui avevano ancora bisogno ha fatto sì che le degenze si accorciassero, consentendo l'ingresso, con minori tempi di attesa, ad altri che avevano la necessità di stare in ospedale. Ovviamente, bisogna sempre tenere ben presenti i limiti di questo servizio: si possono ospedalizzare a casa solo quei pazienti che non hanno bisogno di un monitoraggio intensivo, invasivo e continuativo e quelli che hanno un adeguato supporto familiare».
Certo, la famiglia: è un fattore determinante per la buona riuscita di questo modello. «Noi la consideriamo parte del team di cura e tutta l'équipe sa bene che i familiari sono una una risorsa, ma anche persone che vanno aiutate e supportate — sottolinea Nicoletta Aimonino —. Perciò, se da un lato siamo attenti a fornire tutte le informazioni e gli strumenti affinché possano cooperare, dall'altro siamo consapevoli che i familiari non debbano essere sottoposti a stress eccessivi, che possono essere deleteri per loro stessi e avere ricadute negative sul paziente».
 

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