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Dall'Espresso: nella testa di Dr. House

Medicina Generale Redazione DottNet | 01/08/2008 11:15

Anne Dodge aveva perso il conto dei dottori che l'avevano visitata. Negli ultimi 15 anni erano stati almeno 30. Ora stava guidando verso Boston per l'ennesima visita. Da dieci, dopo i pasti, si sentiva come se ci fosse qualcuno che le afferrava lo stomaco da dentro e glielo torceva.

La nausea e il dolore erano così intensi che le capitava anche di vomitare. Il medico di famiglia l'aveva visitata e prescritto degli antiacidi. Ma i sintomi persistevano. Anne perse l'appetito e per mangiare doveva costringersi; poi si sentiva male e finiva in bagno a rigurgitare tutto. Il medico di famiglia cominciò allora a farsi un'idea di quale potesse essere il problema, ma per esserne sicuro la mandò da uno specialista in psichiatria. Ed ecco la diagnosi: anoressia nervosa con bulimia. Bisognava correre ai ripari, altrimenti sarebbe morta di stenti. Nel corso degli anni, aveva cambiato diversi medici ed era stata visitata da parecchi specialisti: endocrinologi, ortopedici, ematologi, infettivologi e, naturalmente, psichiatri e psicologi. Era stata sottoposta a quattro terapie antidepressive e un ciclo di sedute psicanalitiche settimanali. I dietologi controllavano ogni giorno quante calorie assumesse. Ma la sua salute continuava a peggiorare, e gli ultimi 12 mesi erano stati i peggiori della sua vita. Il numero dei globuli rossi e delle piastrine era sceso a livelli veramente preoccupanti. La biopsia effettuata su un campione di midollo osseo mostrava che le cellule in fase sviluppo erano in numero esiguo. I due ematologi che aveva consultato attribuivano la carenza di globuli rossi alle sue deficienze alimentari. Anne soffriva inoltre di una grave osteoporosi. Un endocrinologo le disse che aveva le ossa di un'ottantenne, e questo a causa della carenza di vitamina D e di calcio.

Un ortopedico le diagnosticò la microfrattura del metatarso del piede. Ci furono segnali allarmanti anche da parte del sistema immunitario: aveva contratto una serie di infezioni, tra cui la meningite.
< br>Per ristabilire un buon equilibrio il medico le aveva ordinato di consumare 3 mila calorie al giorno, soprattutto sotto forma di carboidrati facilmente digeribili, come la pasta o i cereali. Ma più mangiava, peggio si sentiva: ultimamente soffriva anche di crampi intestinali e diarrea. Il dottore le disse che aveva sviluppato la sindrome dell'intestino irritabile, una malattia associata allo stress. Era arrivata a pesare 37 chili. Anche quando lei giurava di assumere le famose 3 mila calorie, il suo medico e il suo psichiatra ritenevano la perdita di peso un chiaro segno del fatto che Anne mentiva.

Quel giorno Anne doveva vedere il dottor Myron Falchuk, un gastroenterologo. Falchuk si era già procurato la sua cartella clinica e aveva parlato con il medico di base, e aveva colto nel tono del collega il messaggio implicito che a lui toccasse semplicemente visitare l'addome di Anne e confermare diagnosi e terapia. E invece questo fu proprio ciò che non fece. Al contrario, cominciò a farle domande, ascoltarla e osservarla, e infine a considerare il suo caso in maniera differente. Così facendo, le salvò la vita. Per 15 anni, infatti, un aspetto chiave della sua malattia era stato trascurato da tutti.

Agli studenti di medicina viene insegnato che la valutazione di un paziente deve procedere in maniera lineare: prima si raccolgono dati sulla sua storia clinica, poi si effettuano gli esami, si prescrivono le analisi e si studiano i risultati. Soltanto dopo l'acquisizione di tutti i dati si dovrebbero formulare ipotesi sulla natura del problema. In pratica quasi tutti i medici, con poche eccezioni, lavorano attenendosi a questo paradigma matematico. Falchuk fece accomodare Anne Dodge nel suo studio prendendola sotto braccio e scortandola con dolcezza fino alla sedia. Anne guardò la pila di fascicoli alta più o meno 15 centimetri sulla scrivania del medico. Era lo stesso dossier che aveva visto dal suo endocrinologo, dall'ematologo, dall'immunologo, dallo psichiatra e dal dietologo. Poi il dottor Falchuk spinse via la pila di fascicoli per liberare la scrivania. "Per prima cosa mi racconti perché è venuta qui oggi", le disse.

Anne si sentì confusa. Significava che Falchuk non aveva parlato con il suo medico di base e non aveva letto il dossier? "Soffro di di bulimia e di anoressia nervosa", disse in tono sommesso: "E ora ho contratto la sindrome dell'intestino irritabile". Falchuk le offrì un sorriso cordiale: "Vorrei che fosse lei stessa a raccontarmi la sua storia, con parole sue". Così Anne cominciò dall'inizio, recitando la lunga e tortuosa storia dei propri sintomi iniziali, dei molti medici che l'avevano visitata e delle analisi cui era stata sottoposta. Poi, il dottor Falchuk la accompagnò lungo il corridoio verso la sala visite. Questa volta fu diversa da tutte le altre. Lei si aspettava che il medico si concentrasse sull'addome, che le tastasse fegato e milza, e che le facesse fare dei respiri profondi per cercare le aree più cedevoli. Invece, le osservò con attenzione la pelle e poi le ispezionò le linee della mano. Anne era un pò perplessa, ma non gliene chiese il motivo. E non gli chiese neanche come mai avesse passato tutto quel tempo a guardarle la bocca con una lampadina tascabile, esaminandole non solo lingua e palato, ma anche le gengive e il tessuto lucido dietro le labbra.

Passò anche molto tempo a osservarle le unghie, su mani e piedi. "Non sono affatto sicuro che si tratti della sindrome dell'intestino irritabile", disse: "E neanche che la sua perdita di peso sia dovuta alla bulimia e all'anoressia nervosa. Potrebbe esserci qualcos'altro, qualcosa che le impedisce di riprendere peso". Quindi le propose di fare delle nuove analisi del sangue, abbastanza semplici, ma poi anche un'endoscopia.

Anne non ne poteva più di visite ed esami. Le tornò in mente che il suo medico curante era stato restio a prescriverle una visita gastroenterica, e cominciò a chiedersi se non fosse un altro esame inutile, fatto tanto per farlo o, peggio ancora, per spillarle soldi. Stava quindi per rifiutare, ma poi Falchuk le ripetè con molta enfasi che il suo malessere poteva davvero avere tutt'altre cause: "Visto che nel corso di tutti questi anni i miglioramenti sono stati davvero scarsi, e considerata la grande quantità di peso che ha perso, oltre alle penose condizioni in cui versano il sangue, le ossa e il suo sistema immunitario, dobbiamo a tutti i costi scoprire la vera natura della sua malattia. Potrebbe darsi che il suo organismo non sia in grado di digerire il cibo che lei ingerisce, che quelle 3 mila calorie le attraversino il corpo e basta. Questo spiegherebbe come mai lei sia arrivata a pesare solo 37 chili".

Quando incontrai per la prima volta Anne Dodge, un mese dopo quel primo appuntamento con il dottor Falchuk, mi disse che per lei quello era stato il più bel regalo di Natale di sempre. Aveva preso quasi cinque chili. La nausea intensa, i conati di vomito, i crampi allo stomaco e la diarrea che avevano accompagnato ormai ogni colazione, pranzo e cena, nel tentativo di riempire lo stomaco di pasta, pane e cereali, erano ormai solo un ricordo. Le analisi del sangue e l'endoscopia avevano dimostrato che soffriva di celiachia, una malattia autoimmune: una sorta di allergia al glutine, una delle componenti essenziali del grano e dei cereali.

Dice Falchuk: "Molti vedono noi specialisti come tecnici. Arrivano da noi perché fa parte di una procedura. E non c'è dubbio sul fatto che le procedure e la tecnologia specializzata oggi a disposizione siano di vitale importanza per la guarigione di un paziente. Ma credo anche che tutta questa tecnologia ci abbia allontanato dal dialogo. E se ti allontani dalla storia personale di un paziente, allora non sei più un medico". Falchuk si era subito reso conto di quali emozioni avrebbero potuto impedire ad Anne Dodge di raccontare la propria storia. E l'aveva messa a suo agio partecipando emotivamente al racconto. Inoltre, aveva aggirato l'ansia e la reticenza della paziente facendole capire che la stava ascoltando con attenzione e che voleva saperne di più. Per guidare il proprio pensiero, aveva avviato un monologo interiore con se stesso. "Anne mi aveva raccontato di ingerire 3 mila calorie al giorno. E io mi ero chiesto: devo crederle? E se sì, come mai non ha ripreso peso?". Anche se era una semplice possibilità, andava comunque portata fino alle sue conseguenze logiche, e cioè che lei stesse effettivamente provando a seguire la dieta, nel senso letterale del termine: mettendo in bocca cereali, pane e pasta, masticandoli, ingoiandoli, provando a non vomitare. E che nello stesso tempo continuasse a perdere peso e globuli rossi. "Devo concederle il beneficio del dubbio", si disse Falchuk. Più la osservava, più la ascoltava, e più si sentiva a disagio. "Sembrava sempre più inverosimile l'ipotesi di ricondurre tutto a una patologia psichiatrica", mi disse: "Tutti le avevano attribuito una qualche nevrosi. Eppure avevo come la sensazione che il quadro non fosse convincente. A quel punto cominciai a chiedermi: cosa c'è che non va?".

Falchuk quasi si alzò in piedi mentre mi mostrava l'endoscopia del colon spastico di Anne Dodge. "Ero elettrizzato dalla scoperta", mi disse. Stava sperimentando il sottile piacere che provano gli investigatori quando vengono a capo di un giallo: l'orgoglio legittimo di chi ha scovato il colpevole. Ma, oltre la soddisfazione e il piacere intellettuale, in lui c'era anche la gioia di aver salvato una vita.
 

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