Vedremo, valuteremo: tutti, scienziati e ministri compresi, temporeggiano e usano il condizionale. Perché nessuno, proprio nessuno, sa davvero cosa accadrà. E lo stesso Anthony Fauci, il supercapo della ricerca americana sulle malattie infettive, ha aperto una conferenza stampa dicendo: "Non chiedetemi cosa accadrà perché non lo so". Ma ormai il tempo stringe e coloro ai quali tocca di prendere decisioni non possono più rimandare. In tutto il mondo i governi allestiscono piani anti-pandemici. E noi siamo pronti?
Emergenza a scuola
Tra pochi giorni ricomincia la scuola e il viceministro Fazio, così come i suoi colleghi di Austria, Germania, Spagna e Svizzera, pensa che l'unità di crisi possa stabilire "caso per caso" quando sia il caso di chiudere un istituto o lasciare a casa una sola classe. Altrove, invece, sono già state date regole precise, arbitrarie forse, ma che aiutano a evitare la confusione: a Hong Kong le lezioni dovranno essere sospese per sette giorni se si ammala il 10 per cento degli studenti, se l'1 per cento finisce in ospedale oppure nel caso almeno due alunni muoiano o siano ricoverati in terapia intensiva; in Israele occorrerà che si ammali il 45 per cento degli allievi, mentre in Francia basterà che nel giro di una settimana tre ragazzi della stessa classe presentino i sintomi dell'influenza.
Tutti invece sembrano d'accordo che non ha senso chiudere le scuole a scopo preventivo: i ragazzi troverebbero comunque modo di incontrarsi al di fuori, ci potrebbe essere un effetto boomerang. Ma non solo. Commenta Giuseppe Remuzzi, dell'Istituto Mario Negri di Bergamo: "Uno studio fatto in Inghilterra su più di 5 mila ospedali ha dimostrato che più del 70 per cento degli operatori sono donne e almeno la metà di loro ha un bambino piccolo di cui si dovrebbe occupare se chiudessero le scuole. Questo, sulla salute della gente, potrebbe avere effetti più gravi dell'influenza".
Ai primi sintomi
Cosa deve fare chi si accorge di avere i sintomi dell'influenza? Andare al pronto soccorso? Cercare una farmacia che gli venda il Tamiflu? La Gran Bretagna ha le idee molto chiare e molto drastiche: il National Pandemic Flu Service raccomanda prima di tutto di non uscire di casa, controlla per telefono i sintomi e, se c'è un fondato sospetto che si tratti di nuova influenza, rilascia un numero che autorizza un familiare a ritirare gratuitamente il medicinale in farmacia. Un sistema che evita l'aggirarsi per le città di gente infetta e alleggerisce il carico di lavoro sui medici, ma rischia di provocare un abuso del medicinale.
Abuso che, a oggi, è la regola in Italia: il governo ha raccomandato di utilizzare il prodotto con parsimonia, ma un'inchiesta condotta da Altroconsumo ha mostrato che, alla fine di luglio, 14 farmacie su 20, tra Milano e Roma, hanno venduto l'antivirale senza richiedere la ricetta del medico, un comportamento che danneggia il malato (il farmaco ha controindicazioni ed effetti collaterali), e rischia di esaurire le scorte disponibili e di favorire la comparsa di resistenze.
A chi, preoccupato per l'improvvisa insorgenza dei sintomi una domenica mattina, in assenza del proprio medico, telefoni al numero verde 1500 del ministero, risponde un nastro registrato. Il numero verde infatti è attivo solo dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 18. Nelle ore cioè in cui è più facile trovare il proprio medico. Il messaggio registrato reinvia al sito del Ministero dove, chi ha Internet a casa, trova circolari e comunicati, e anche una serie di domande e risposte, ma non il messaggio chiaro fornito ai malati francesi e britannici. La conclusione: nel dubbio, si finirà tutti in pronto soccorso.
"Invece nella stragrande maggioranza dei casi la malattia si cura a casa come una comune influenza", raccomanda Andrea Gori, primario di malattie infettive al San Gerardo di Monza: "E per quanto riguarda il farmaco, va riservato ai casi a rischio e ricoverati in ospedale. Non ha senso usarlo a tappeto perché non modifica in maniera significativa l'andamento della malattia, che di solito passa da sola".
Ma come si devono comportare le nuove categorie a rischio, soprattutto obesi e donne in gravidanza, che sembrano particolarmente esposti ai rischi di questa nuova infezione? Gli stessi medici di famiglia si trovano in difficoltà. "Le indicazioni che ci vengono dal ministero non sono così chiare", dice Franco Del Zotti, medico di famiglia a Verona appartenente a Wonca Italia, emanazione italiana dell'Organizzazione Mondiale dei Medici di Famiglia.
Vaccino o non vaccino
"Senza vaccino le previsioni indicano che ci saranno più di 10 milioni di casi il prossimo inverno", spiega Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità: "Una cifra che con il piano vaccinale contiamo di ridimensionare sotto i 4 milioni, un numero non troppo lontano dalla quantità di casi che si verificano durante una normale stagione invernale".
Il problema è che questi casi non sostituiranno, se non in parte, quelli dell'influenza stagionale: sebbene i dati raccolti nell'emisfero sud del mondo, dove l'inverno sta per finire, mostrano che il nuovo virus ha dominato la scena, gli altri non sono certo spariti: "Ecco perché è importante che le tradizionali categorie a rischio per l'influenza stagionale non rinuncino al loro abituale vaccino, raccomanda Gori: "Per chi li deve fare entrambe, non ci dovrebbero essere interazioni o neutralizzazioni reciproche". Cosa della quale però nessuno è davvero certo, nemmeno Fauci, stando a quanto ha dichiarato. "Del vaccino pandemico è difficile stabilire per ora il rapporto tra rischi e benefici", conclude Remuzzi.
Non solo: il piano del ministero prevede di vaccinare il 40 per cento della popolazione in due fasi successive (la prima tra ottobre e novembre, e la seconda nei primi mesi del 2010). Il vaccino sarà offerto gratuitamente nelle strutture pubbliche ma non obbligatorio. E molti si chiedono se ne varrà la pena, visto che la copertura non è del 100 per cento, e se è sicuro visto che è stato approvato con una procedura più rapida, senza aspettare i risultati dei test clinici che ne accertino la sicurezza.
"Il prodotto dovrebbe comunque essere sicuro", sostiene Emanuele Montomoli, dell'Università di Siena: "Perché solo il ceppo virale è nuovo, ma il suo vettore e il procedimento con cui è prodotto erano già stati approvati in precedenza, in previsione dell'aviaria".
Ma il condizionale 'dovrebbe' dà da pensare. E obietta Remuzzi: "Gli unici dati finora a disposizione riguardano soltanto cento persone vaccinate. Per vedere se ci sono rischi, bisogna aspettare che lo ricevano in un numero almeno mille volte superiore". A preoccupare è il ricordo di una vaccinazione di massa effettuata in fretta e furia negli Stati Uniti nel 1976 che indusse gravi effetti collaterali (come la paralisi temporanea chiamata sindrome di Guillain Barrè) nella popolazione vaccinata. Ma secondo gli esperti, il danno sarebbe inferiore a quello indotto dalla malattia stessa.
Sarà anche vero, ma i medici sono i primi ad averne paura: oltre la metà del personale sanitario di Hong Kong e un terzo di un campione di infermiere inglesi hanno già dichiarato che lo rifiuteranno. Restano però nel mirino i gruppi a rischio: i malati cronici sotto i 65 anni, le donne in gravidanza e gli obesi, i giovani sani e i bambini.
Il tema bambini è quello più caldo: negli Stati Uniti saranno vaccinati per primi, anche per bloccare la trasmissione del contagio che spesso passa proprio attraverso piccoli e ragazzi. A New York, il comune ha arruolato i 'Flu Fighters'che andranno a vaccinare i bimbi nelle scuole elementari (ma opereranno anche nei centri per gli anziani, nei luoghi di culto e nei ritrovi pubblici). Il piano del governo italiano, invece, lascia i più giovani alla seconda fase di vaccinazione e alle donne in attesa non fa proprio cenno. Eppure anche l'apposito Comitato europeo le ha inserite nei gruppi a maggiore priorità. "Stiamo aspettando i risultati degli studi clinici che rassicurino sulla sicurezza del vaccino in questa categoria così delicata", spiega Rezza: "Non appena ne sapremo di più potremo inserirle subito nel piano".
Un inverno a rischio
Intanto i primi dati che vengono dall'emisfero sud, che ha sperimentato per noi la prima stagione pandemica senza vaccino, offrono qualche indizio in più su ciò che potrebbe accadere. A partire dal cosiddetto 'paradosso della pandemia': fa meno morti del previsto, ma riempie le unità di terapia intensiva. Vale a dire che il virus colpisce sì duro con febbre alta e attacco al sistema respiratorio: chi è sano passa dieci giorni da incubo, ma li passa. Un quarto delle persone ricoverate in Australia, però, è finita in rianimazione. E basta che aumenti di poco il numero di malati con gravi insufficienze respiratorie per saturare questi reparti altamente specializzati, che anche nei grandi ospedali difficilmente hanno più di una decina di posti letto.
È l'emergenza messa in luce dal caso del giovane ricoverato a Monza. Salvato da un'apparecchiatura per effettuare l'ossigenazione extracorporea che consente di mettere a riposo i polmoni attaccati con violenza dal virus. L'apparecchio è portatile, ed è utile soprattutto per consentire il trasporto di questi malati critici a centri più attrezzati. Ogni grosso ospedale dotato di una cardiochirurgia può avere le attrezzature necessarie per la procedura. Ma commenta Luciano Gattinoni, l'anestesista milanese che ha messo a punto la tecnica al Policlinico di Milano: "Non si tratta di comprare macchine, ma di preparare con appositi corsi il personale, apprestando almeno alcuni centri di riferimento regionali".
In attesa di avere le idee più chiare sui numeri della pandemia, cominciare a identificarli sarebbe un gesto concreto per prepararsi all'inverno. Perché nessuno sa quanti si ammaleranno, quanti se la caveranno con dieci giorni difficili e quanti, invece, se la vedranno butta. E quando i casi più gravi inevitabilmente si moltiplicheranno col diffondersi della malattia, un piano di gestione delle emergenze in alcune, identificate terapie intensive appositamente addestrate potrebbe essere un sistema efficace per salvare molte vite umane.
"Chiediamo il sostegno del Presidente Mattarella, per richiamare la cittadinanza. Sarebbe paradossale che le organizzazioni sindacali dovessero trovarsi a ragionare su un possibile sciopero contro i cittadini nella veste di pazienti"
"Per molti presidenti di Regione i medici di medicina generale dovrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale". "Mancano 4500 medici e 10mila infermieri"
Rea (Simg Lazio): “Tra le principali esigenze, è fondamentale l’inserimento di personale infermieristico e amministrativo. Come le farmacie dei servizi ricevono investimenti anche la Medicina Generale può moltiplicare le sue funzioni”
Questo codice, attualmente in vigore, limita fortemente la possibilità di dar seguito a uno sciopero vero ed efficace, ostacolando di fatto qualsiasi iniziativa
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