In passato la pancreatite cronica è stata considerata come un disturbo uniforme e in gran parte non trattabile, che comunemente colpiva pazienti con mancanza di una occupazione retribuita o con una non adeguata copertura medica e con tendenza a bere e fumare. Molti studi clinici indicano che questa percezione non è solo sbagliata e discriminatoria, ma inoltre non basata su fatti concreti e dimostrabili. La percezione delle malattie epatiche croniche era simile prima della seconda guerra mondiale, e così come la cirrosi epatica, la fibrosi e la cirrosi del pancreas- vale a dire la pancreatite cronica- è il risultato finale di una serie di fattori ambientali, infiammazioni, infezioni e malattie genetiche. Un numero crescente di questi solo recentemente sono stati riconosciuti come entità distinte e diverse che stanno diventando trattabili. Gran parte del rischio di sviluppare pancreatite è trasmessa da fattori di rischio genetici e si stima che meno della metà di questi siano stati finora identificati .
Lo stesso vale per i fattori protettivi che possono prevenire la pancreatite, anche a fronte di un abuso eccessivo di alcol. Diverse mutazioni geniche e polimorfismi sembrano determinare la suscettibilità di un individuo a sviluppare una malattia del pancreas, nella determinazione della gravità della malattia e sua progressione. Il range associato allo spettro genotipo/fenotipo va da semplici tratti somatici dominanti con penetranza quasi completa, come per le mutazioni più comuni del gene tripsinogeno cationico (PRSS1), ai fattori moderati di rischio senza i modelli di eredità mendeliana, come per le mutazioni SPINK1e CFTR,alle associazioni di rischio molto sottile e modificatori della malattia che può essere identificata solo negli studi di coorte di grandi dimensioni, come per la chimotripsina C, per il recettore sensibile al calcio e le mutazione della tripsina anionica (PRSS2).
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