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Da Ilsole24ore: Festival del Diritto: testamento biologico tra etica e regole

Medicina Generale Redazione DottNet | 27/09/2008 14:15

 Sui temi della vita è difficile scansare il duello tra il legislatore, espressione della sovranità popolare, e il magistrato, che ciascuno può chiamare a pronunciarsi allorché ritenga leso un proprio diritto. E men che meno poteva sottrarsi al confronto il Festival di Piacenza, che proprio alle «Questioni di vita» ha dedicato la prima edizione.

 Così ieri, in un contesto ricco di eventi e dentro una cornice di pubblico molto incoraggiante, è balzato in primo piano il tema dei poteri e del valore giuridico relativi alle direttive anticipate sulle scelte di fine vita. E mentre da Roma il sottosegretario al Welfare Ferruccio Fazio parlava di una «sostanziale convergenza» sul testamento biologico, nel capoluogo emiliano un vivace dibattito tra il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano e la capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro ha confermato che i passi avanti riguardano, però, solo la condivisione dell'opportunità di arrivare a una regolamentazione, ma nella sostanza non riducono di molto le distanze. «La sentenza della Cassazione sul caso Englaro fa pensare ai giudici come ai padroni della vita», ha detto Mantovano. «Respingo l'idea - ha proseguito - di una supplenza giudiziaria in caso di inerzia del Parlamento. La sovranità è nelle mani del popolo, non dipende dagli esiti di un concorso». Il punto di fondo, ha spiegato Mantovano, è che la vita ha sempre e comunque lo stesso valore, mentre da più parti si accredita la tesi che possono esistere vite di minor valore, ad esempio quando la sofferenza diventa insopportabile «Il vero problema - ha replicato Anna Finocchiaro - è che si assiste a un'oggettivazione del diritto alla vita, che prende forma al di fuori dell'esperienza di ciascuno, in modo separato dal corpo».

«Se si vuole raggiungere un risultato positivo - ha aggiunto - bisogna tenere la discussione il più possibile stretta su un unico obiettivo: è possibile dotarsi di uno strumento che rispetti il diritto individuale a non subire trattamenti sanitari contro la propria volontà, anche quando sia subentrata un'incapacità di intendere e volere?». La soluzione, insomma, si potrebbe trovare tenendo al centro il soggetto e i suoi diritti individuali Una tesi sulla quale si sono schierati i giuristi intervenuti al dibattito. Per Eligio Resta, ordinario di filosofia del diritto alla terza università di Roma, «quando si tratta di diritti fondamentali non c'è sovranità che tenga, e la valenza tragica è tutta interna alla scelta individuale, che è sempre e comunque il frutto di una sofferenza». Da parte sua Amedeo Santosuosso, magistrato a Milano, tra i fondatori della Consulta di bioetica, ha sostenuto che «nessuna teoria della rappresentanza conferisce un potere assoluto sulla vita».
E la sociologa Chiara Saraceno ha affermato che, invece di parlare di giudici padroni in questa materia, bisognerebbe porre nel mirino le scelte del legislatore, che tende sempre più a legiferare sulle libertà personali. Guerra di trincea, dunque? Non proprio. Dietro la rigidità delle posizioni di principio si sono colti anche cauti segnali di apertura. Finocchiaro, ad esempio, ha insistito sulla necessità che la legge offra una soluzione «persuasiva», e ha invitato a fare tesoro dei contributi che, in tema di scelte di fine vita, possono giungere dagli operatori sanitari. Al riguardo, una significativa testimonianza è giunta da Andrea Bianchi, presidente dell'Ordine dei medici di Cremona, responsabile del procedimento disciplinare che, nel 2006, si concluse con l'archiviazione per Mario Riccio, l'anestesista che ha aiutato Piergiorgio Welby a morire con il distacco del respiratore. «Per noi medici - ha detto Bianchi - è esperienza quotidiana trovarci di fronte al rifiuto di trattamenti sanitari in corso. Capita con pazienti dializzati o con i malati di Sla che, visto il progressivo aggravamento, insistono perché sia loro evitata la tracheostomia». Tuttavia «il nostro Codice deontologico - ha ricordato Bianchi - già ci offre un ancoraggio importante perché, all'articolo 38, stabilisce che il medico deve attenersi alla volontà liberamente espressa dalla persona e precisa che, se il paziente non è in grado di esprimere tale volontà, il medico deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato in modo certo e documentato». Un punto di riferimento preciso che, però, può non bastare a sciogliere tutti i nodi, tra cui quello di una manifestazione di volontà «attuale», oltre che «esplicita». Resta, poi, sul tappeto la questione più delicata in questa fase del dibattito sul testamento biologico, legata al valore delle pratiche di idratazione, alimentazione e respirazione artificiale. Sono «terapie» o «trattamenti di sostegno vitale»? Su questi aspetti il Festival di Piacenza non ha potuto che misurare il permanere di posizioni antitetiche. Se disgelo sarà, bisognerà comunque attendere ancora. Intanto, mercoledì si inizierà il confronto in commissione Sanità del Senato.

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