Il nodo della continuità assistenziale è venuto al pettine. Sono stati chiamati in causa anche i medici di medicina generale, rei, secondo i malati, di non prestare attenzione ai loro problemi e in particolare alla loro formazione alla gestione della malattia e ai fattori di rischio. L’elenco continua con la distribuzione non omogenea sul territorio nazionale di centri di diagnosi, cura e riabilitazione, con conseguente ritardo nella diagnosi, liste di attesa e fenomeni di migrazione sanitaria, soprattutto lungo la direttrice Sud-Nord. Sono queste alcune delle criticità del Servizio sanitario nazionale che lamentano i malati cronici e che sono stati trattati a Roma durante la prima Conferenza nazionale sull'accesso alle cure nelle malattie croniche.
E ancora: discontinuità tra l'assistenza sanitaria di base e quella specialistica; difficoltà di accesso ai farmaci, dovuta talvolta alla loro non rimborsabilità talaltra alla disomogeneità tra le diverse Regioni (è per esempio il caso dei mancati o tardivi inserimenti dei farmaci nei Prontuari farmaceutici regionali, problema però risolto da Fazio con un apposito decreto che impone l’immissione sul mercato dei farmaci in contemporanea in tutta Italia); un approccio "monodimensionale" ai ricoveri ospedalieri, con scarsa integrazione delle diverse tipologie di professionisti nell'erogazione delle prestazioni; insufficienza delle ore dell'assistenza domiciliare integrata e della riabilitazione; mancato accesso gratuito ai dispositivi. Una situazione portata anche all'attenzione delle istituzioni da associazioni dei malati, società scientifiche ed esperti interpellati dalla XII commissione Igiene e Sanità del Senato nel corso dell'indagine conoscitiva sulle malattie ad andamento degenerativo di particolare rilevanza sociale, con specifico riguardo al tumore alla mammella, alle malattie reumatiche croniche ed alla sindrome Hiv. Proprio queste tre patologie sono emblematiche dei disagi con cui convivono i malati cronici e delle azioni da intraprendere al più presto. Fulvio Moirano, direttore dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionale (Agenas) spiega che "il piano d'azione dell'Oms 2008 - 2013 già contiene indicazioni importanti per una strategia globale di prevenzione e controllo delle malattie non trasmissibili. In Italia, l'equità nell'accesso alle cure è uno dei principi fondanti il Ssn e, al contempo, una finalità che il sistema deve perseguire con sempre nuovi obiettivi di miglioramento". Sulla stessa linea il direttore del dipartimento del farmaco presso l'Istituto superiore di sanità, Stefano Vella, che ricorda: "Le diseguaglianze nell'accesso alle cure tra Nord e Sud del mondo sono imponenti. Le differenze in termini di sopravvivenza e mortalità di malattie croniche e infettive sono diventate intollerabili. Anche se ovviamente - conclude- non in termini così drammatici, le diseguaglianze in termini di accesso alla salute esistono anche all'interno dei Paesi più ricchi".
Venticinque milioni di italiani, pari al 45,6% della popolazione con più di 6 anni d'età, è affetto da almeno una patologia cronica. Tra essi, 7,6 milioni sono colpiti da una grave patologia: diabete, infarto del miocardio, angina pectoris e altre malattie del cuore, ictus ed emorragia cerebrale, bronchite cronica, enfisema, cirrosi epatica, tumore maligno (inclusi linfoma/leucemia), malattia di Parkinson e Alzheimer, demenze senili. E in quest'ultima categoria le donne sembrano essere in assoluto le più colpite, con un tasso di multi cronicità (vale a dire più malattie croniche contemporanee) quasi doppio rispetto agli uomini. In assoluto, tuttavia, sono artrosi e artriti la prima singola causa di malattia (colpiscono il 18,3% degli italiani con più di 6 anni), seguiti da ipertensione (13,6%) e malattie allergiche (10,7%). Ad aggravare il quadro, circa 2 milioni 600 mila persone che vivono in condizione di disabilità, pari al 4,8 % della popolazione. Una percentuale che raggiungere il 44,5 % nella fascia di età con più di 80 anni. Questi dati (fonte Istat) testimoniano una trasformazione radicale nell'epidemiologia del nostro Paese, che impone un nuovo approccio assistenziale basato sulla necessità di garantire terapie e assistenza personalizzati e per un periodo molto lungo per milioni di cittadini.
I tassi di assistenza sono generalmente bassi in tutte le Regioni, ma se in Friuli Venezia Giulia è assistito il 7,3% degli anziani e in Veneto il 6,4%, la Provincia autonoma di Trento, la Sicilia e la Sardegna garantiscono il servizio a circa l'1,0% della popolazione over 65 e in Valle d'Aosta l'assistenza è offerta ad appena lo 0,3% degli anziani residenti. La situazione non cambia se si analizzano le ore di assistenza: in media 20 l'anno per ogni paziente anziano preso in carico. Anche in questo caso sono ampie le differenze tra le Regioni: se la Valle d'Aosta ha erogato in media 177 ore per ogni over 65 trattato (ma è pur vero che presenta il numero più basso di anziani trattati), il Friuli Venezia Giulia nel medesimo anno ha previsto una media di 17 ore per anziano (a fronte di 20.241 over 65 assistiti) (Ceis-Sanità 2009). Nel 2008, con una spesa di circa 1.006,6 milioni di euro, l'Adi ha pesato per lo 0,9% sulla spesa sanitaria pubblica totale. Le Regioni con la maggiore spesa per anziano (> 65 anni) sono il Friuli Venezia Giulia (239,1 euro), l'Umbria (184,1) e la Provincia autonoma di Bolzano (169,5), mentre quelle con spesa per Adi inferiore sono la Provincia autonoma di Trento (7,4) e la Valle d'Aosta (37,4), seguite da Calabria e Campania dove si spendono rispettivamente 43 e 44,2 euro per paziente. Infine, anche l'articolazione del servizio è spesso carente, mancando in più della metà dei casi l'integrazione tra l'erogazione delle cure sanitarie e gli interventi di tipo sociale. Per il gruppo La sanità che vorremmo, clicchi qui.
"Chiediamo il sostegno del Presidente Mattarella, per richiamare la cittadinanza. Sarebbe paradossale che le organizzazioni sindacali dovessero trovarsi a ragionare su un possibile sciopero contro i cittadini nella veste di pazienti"
"Per molti presidenti di Regione i medici di medicina generale dovrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale". "Mancano 4500 medici e 10mila infermieri"
Rea (Simg Lazio): “Tra le principali esigenze, è fondamentale l’inserimento di personale infermieristico e amministrativo. Come le farmacie dei servizi ricevono investimenti anche la Medicina Generale può moltiplicare le sue funzioni”
Questo codice, attualmente in vigore, limita fortemente la possibilità di dar seguito a uno sciopero vero ed efficace, ostacolando di fatto qualsiasi iniziativa
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