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Privatizzazioni degli ospedali, cresce la polemica

Medicina Generale Redazione DottNet | 28/09/2008 21:26

 Cresce la polemica dopo il progetto annunciato dal premier Silvio Berlusconi di ''privatizzazione di molti ospedali pubblici''. Vari i pareri contrari - tra chi teme che il privato possa mettere a rischio l'equità dell'assistenza - a partire da quelli dell'oncologo ed ex ministro della Salute Umberto Veronesi e del ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli. 

Ma vari esperti del settore puntano l'attenzione anche su un altro aspetto: l'idea di joint venture pubblico-privato, di cui ha parlato il sottosegretario al Welfare Ferruccio Fazio, potrebbe portare nuovi fondi per modernizzare la rete ospedaliera italiana, ormai obsoleta. Il tema ha tenuto banco anche al Festival della salute di Viareggio, con prese di posizione precise: ''Mi sono sempre battuto perchè gli ospedali rimanessero pubblici e la Lombardia - ha affermato Veronesi - ha percorso la strada per realizzare un programma che mette in competizione pubblico e privato, perchè sostiene che anche il pubblico se ha concorrenza del privato si riorganizza. Ma il problema - ha aggiunto - si pone sull'aziendalizzazione del pubblico, che è un grande errore di principio. Chiamare azienda un ospedale è un errore: l'azienda deve fare profitto, l'ospedale deve fare la salute''. Ma è anche vero, ha sottolineato Veronesi, che ''occorre un piano nazionale per ospedali più tecnologici''.

Un modello, quello proposto dal governo, che non piace a vari politici: ''La destra al governo in Italia sta cercando di portare nella scuola e nella sanità un modello di welfare americano che ha rivelato lacune lamentate negli stessi Usa'', ha rimarcato Pierluigi Castagnetti (Pd). Il modello americano è ''scartabile'' anche secondo Calderoli: ''Viva il nostro modello - ha detto il ministro dal Festival della salute - certo con gli interventi necessari per gli aspetti che non vanno. Sanità pubblica, a volte in competizione con il privato, ma mai sostitutivo. La cooperazione pubblico-privato è quella che c'è oggi con il convenzionato, e tale deve restare''. Si dice ''perplesso'' il presidente della Federazione degli ordini dei medici e odontoiatri (Fnomceo) Amedeo Bianco: ''L'intervento del privato potrebbe servire ad esempio per un ammodernamento della rete - ha commentato - ma bisogna vedere quale sarebbe il prezzo da pagare.
Il rischio - ha proseguito - sarebbe quello di una sanità sempre meno equa ed accessibile in virtù di una dominante logica del profitto''. Perplessità anche da parte del presidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) Francesco Ripa Di Meana: ''Abbiamo un sistema 'misto' già da anni - ha osservato - e comunque non vedo privati pronti a rispondere a tale progetto. Ad ogni modo se aprire ai privati significa modernizzazione della rete e dinamismo, ben venga - ha affermato - ma non deve trattarsi di un 'abbandono' del pubblico a se stesso''. Pareri a confronto, dunque, su quello che sarà il futuro degli ospedali italiani: una rete, quella dell'assistenza ospedaliera, che si avvale di 1.217 istituti di cura, di cui 54% pubblici e 46% privati accreditati. Ed uno dei principali problemi resta, indubbiamente, proprio la vetustà delle strutture, con una situazione che poco si discosta dalla istantanea scattata nel 1998 con il Rapporto dell'allora direttore dell'Agenzia per i servizi regionali sanitari Elio Guzzanti. Un dato su tutti: il 57% delle strutture ospedaliere ha un'età media di 70 anni e punte di 110-140 anni in Umbria e Lazio (il 57% degli ospedali è stato costruito tra la fine dell' '800 e il 1940 e il 12% tra il 1940 ed il 1950) e la metà dei macchinari di diagnostica, già nel '98, aveva all'attivo una media di 5-10 anni di vita. 

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