Assistere un malato raro cambia radicalmente la vita delle famiglie. Ripercussioni sul lavoro, spostamenti alla ricerca di un centro clinico specializzato, spese per i viaggi e per le terapie: questo il carico, spesso interamente, che grava sulle loro spalle. Un fardello pesante anche economicamente. Una volta arrivata alla diagnosi, una famiglia su quattro spende più di 500 euro al mese, in alcuni casi oltre 2.000 euro, per la cura e l'assistenza. Da soli non sempre ce la si fa: almeno il 20% di queste famiglie ha dovuto indebitarsi, in più della metà dei casi l'aiuto finanziario è stato offerto dai parenti. Il quadro emerge da uno studio pilota presentato a Roma dall'Isfol nel corso del convegno nazionale 'Costi sociali e bisogni assistenziali nelle Malattie Rare'. L'indagine, la prima del genere in Italia, è stata condotta dall'Istituto per gli affari sociali (Ias), in collaborazione con la Federazione italiana malattie rare Uniamo-Fimr onlus, Orphanet-Italia e Farmindustria, per rilevare i bisogni assistenziali, i costi sociali ed economici dei malati rari e delle famiglie per contribuire a specifiche misure di sostegno.
Chi assiste questi pazienti ne ha davvero bisogno - evidenziano i risultati dei 600 questionari distribuiti a undici associazioni del settore e alla Fondazione Irccs Besta di Milano - poiché affronta quotidianamente problemi di vario genere: alcuni direttamente legati alla patologia, altri conseguenza dell'aggravamento delle condizioni professionali ed economiche. Dall'indagine emerge che le famiglie sotto la soglia di povertà sono più numerose della media italiana stimata dall'Istat nel 2009; aggiungendo quelle che possono essere considerate a forte rischio di povertà, si arriva al 35%. La normativa sull'esenzione per le malattie rare, in vigore dal 2001, non ha modificato in modo rilevante i costi dell'assistenza e della cura. Non solo. Accudire un malato raro nel 90% dei casi ha ripercussioni negative sull'attività lavorativa del padre o della madre.
"Chiediamo il sostegno del Presidente Mattarella, per richiamare la cittadinanza. Sarebbe paradossale che le organizzazioni sindacali dovessero trovarsi a ragionare su un possibile sciopero contro i cittadini nella veste di pazienti"
"Per molti presidenti di Regione i medici di medicina generale dovrebbero diventare dipendenti del Servizio sanitario nazionale". "Mancano 4500 medici e 10mila infermieri"
Rea (Simg Lazio): “Tra le principali esigenze, è fondamentale l’inserimento di personale infermieristico e amministrativo. Come le farmacie dei servizi ricevono investimenti anche la Medicina Generale può moltiplicare le sue funzioni”
Questo codice, attualmente in vigore, limita fortemente la possibilità di dar seguito a uno sciopero vero ed efficace, ostacolando di fatto qualsiasi iniziativa
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