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Il medico di base e la prevenzione dell’infarto: studio della Simg e dell’Università, due milioni d’italiani a rischio.

Medicina Generale Silvio Campione | 22/03/2011 19:15

Quasi 2 milioni di italiani hanno una probabilità su 5 di avere un infarto o un ictus entro 10 anni, ma non lo sanno e non ricevono cure ad hoc. Stando ai parametri tradizionali di valutazione rientrano nella fascia ritenuta a rischio medio, e come tali sono esclusi dal rimborso delle terapie 'scudo'. Invece dovrebbero essere considerati a rischio alto, secondo una ricerca condotta dal Servizio di epidemiologia e farmacologia preventiva dell'università degli Studi di Milano, che in collaborazione con la Simg (Società italiana di medicina generale) ha coinvolto circa 7 mila cittadini tra i 40 e i 79 anni, assistiti in 421 ambulatori di medici di famiglia di 16 regioni della Penisola.

 Misurando nei reclutati anche i livelli di una proteina 'spia' del rischio cardiovascolare (la proteina C reattiva o Pcr), gli autori hanno scoperto che quasi un paziente su 5 della categoria definita a rischio medio dovrebbe essere 'riclassificato' e passare nella fascia a rischio alto. Lo studio, battezzato 'Check' e pubblicato in parte su 'Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases', è stato presentato al Congresso nazionale della Sitecs (Società italiana di terapia clinica e sperimentale). "Questo lavoro ha preso in esame in modo casuale un numero molto elevato di mutuati" sia maschi che femmine - spiega in un incontro con la stampa a Milano Alberico Catapano, ordinario di farmacologia alla Statale meneghina (Dipartimento di scienze farmacologiche) e presidente del summit Sitecs - I risultati sono quindi altamente predittivi e consentono di scattare una fotografia reale del rischio cardiovascolare della popolazione italiana". Non solo. Suggeriscono ai medici l'opportunità di prevedere, almeno nei pazienti in cui il profilo di rischio cardiovascolare è più dubbio, anche il dosaggio della Pcr nel sangue: se supera stabilmente i 2 milligrammi/litro, scatta l'allarme rosso. Un esame da pochi euro, che però può salvare il cuore. Lo studio 'Check' è stato avviato nel 2003 proprio con l'obiettivo di scattare un'istantanea sulla distribuzione dei fattori di rischio cardiovascolare lungo lo Stivale, escludendo la fascia degli under 40 perché generalmente resta fuori dal 'mirino' del primo killer del mondo industrializzato.

Di ognuno dei quasi 7 mila arruolati sono stati registrati i valori di altezza, peso, pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Un questionario ha valutato stili di vita, visite mediche e uso di farmaci nei 3 mesi precedenti, e tutti sono stati sottoposti a un prelievo di sangue. "I campioni sono stati analizzati a livello centrale, così da eliminare eventuali 'fattori confondenti' legati all'esame in laboratori diversi", precisa Catapano. "Con il benestare del comitato etico centrale - aggiunge - abbiamo anche prelevato una quota di cellule bianche del sangue, in modo da poter eseguire in futuro analisi genetiche sul Dna". In generale, poi, "i vari campioni sono stati conservati nel caso fossero necessarie successive rivalutazioni". Ebbene, in base ai classici parametri valutati dalle tabelle del rischio cardiovascolare globale, e proiettando i dati ottenuti sull'intera popolazione, è emersa innanzitutto la conferma di una buona notizia: "L'Italia è un Paese a basso rischio cardiovascolare", almeno se confrontato con altre nazioni del Nord Europa.
Oltre 48 milioni e mezzo di italiani (81%) risultano infatti a basso rischio, quasi 9 milioni (15%) a rischio medio e 'solo' 2,4 milioni (4%) ad alto rischio. La brutta sorpresa arriva dosando la proteina C reattiva nei pazienti con colesterolo cattivo basso (Hdl inferiore a 130 milligrammi per decilitro di sangue): la proteina-spia è superiore al livello soglia di 2 mg/L nel 18,4% della fascia a medio rischio. Il che significa che "quasi uno su 5, ossia circa 2 milioni - calcola Catapano - sarebbe da riclassificare da rischio medio a rischio alto". E da trattare di conseguenza "con i farmaci, quando è necessario, oppure con le opportune correzioni degli stili di vita". Dallo studio 'Check' arriva anche un avvertimento più generale: il colesterolo basso non è una garanzia. Il 46% dei reclutati con livelli ematici di grasso cattivo Hdl minori di 130 mg/dL è a rischio, "proprio perché i fattori vanno giudicati nel loro insieme", puntualizza Catapano. E ancora: livelli minori di istruzione si associano a un rischio maggiore per cuore e arterie, "sia perché i meno istruiti sono anche meno informati sugli stili di vita più sani - spiega lo scienziato - sia per l'impatto della cosiddetta 'social deprivation', cioè la maggiore difficoltà di accesso alle strutture sociali". Nel dettaglio, chi non ha alcuna istruzione ha un rischio maggiore del 40% rispetto ai laureati; chi si è fermato alla licenza elementare ha un pericolo del 20% superiore a chi è arrivato alla licenza media, che a sua volta rischia il 30% in più dei diplomati, che rischiano il 9% in più dei laureati. Gli anziani si confermano i più 'fragili' (i 40-49enni hanno un rischio del 70% inferiore ai 70-79enni), come pure chi è 'zavorrato' da chili di troppo. In particolare, mentre tra i normopeso gli uomini rischiano il 40% in più delle donne, tra i sovrappeso e gli obesi le femmine rischiano rispettivamente il 20% e il 58% in più dei maschi. Infine, lo sport: chi non fa alcuna attività fisica extra-lavoro ha un rischio cardiovascolare del 30% maggiore di chi si allena con costanza. E le donne, che "secondo le statistiche in Italia fanno attività fisica in pochissimi casi", rischiano il 9% in più dei 'colleghi' maschi.

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