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Dal Corriere della Sera: artrite, ancora troppi ostacoli

Medicina Generale Redazione DottNet | 12/10/2008 15:22

Il primo Rapporto sulla condizione dei malati di artrite reumatoide rivela una realtà diffusa di sofferenza e incertezze  Non riuscire a sbucciare una mela, o a togliere il tappo dalla bottiglia. Rinunciare a una passeggiata, o a una serata fuori con gli amici. Cambiare lavoro, o addirittura perderlo. E il dolore, a volte insopportabile, che non abbandona.

Tutto è "un percorso a ostacoli" per i circa 300 mila malati di artrite reumatoide, secondo il primo "rapporto sociale" realizzato da Associazione nazionale malati reumatici, Società italiana di reumatologia e Censis, con il sostegno di Roche. in occasione della Giornata mondiale delle malattie reumatiche.
L'indagine, che ha coinvolto un campione di 646 pazienti, ha messo a fuoco i limiti incontrati ogni giorno, ma anche i bisogni e le aspettative di chi soffre di una malattia cronica e invalidante, che può colpire a qualsiasi età, soprattutto donne. «Il suo impatto è subdolo e si manifesta soprattutto sulla capacità di lavorare — dice Ketty Vaccaro, responsabile del settore Welfare del Censis —. Il 22,7% degli intervistati ha dovuto ridurre l'orario, cambiare lavoro o lasciarlo».
A volte, nei momenti di remissione della malattia, si ha l'illusione di una vita normale; poi tornano le crisi e si precipita nell'incertezza. Oltre il 36% dei pazienti dice di non essere soddisfatto della propria vita, percentuale che si triplica tra coloro che attraversano una fase acuta della malattia.

L'insoddisfazione nasce spesso dall'impossibilità di compiere i gesti più semplici, come guidare la macchina o usare i trasporti pubblici (42,9%), girare la chiave del portone di casa (non ce la fa 1 paziente su 3), o semplicemente rilassarsi e riposare (non ci riesce mai il 4,6% dei pazienti, quasi mai il 23% e solo qualche volta il 40%). Un paziente su 10 con meno di 45 anni utilizza già un ausilio ortopedico (busti, collari, ginocchiere, stampelle, sedie a rotelle).
L'ansia domina la vita: quasi tutti gli intervistati (83,7%) temono il rischio d'invalidità, la metà è depressa, un terzo si sente "un peso" per gli altri, uno su 4 si vergogna per i segni che la malattia lascia sul corpo. Convivere con l'artrite reumatoide significa soprattutto dolore: 2 pazienti su 3 hanno paura delle fasi acute e oltre il 40% pensa che nulla gli può essere di conforto.
«Dall'indagine traspare la complessità del mondo di questi malati, fatto di mille paure, incertezze, rinunce — commenta Giuseppe De Rita, presidente della Fondazione Censis —. L'artrite reumatoide è una malattia dai confini incerti: dalla diagnosi che arriva spesso in ritardo — a volte dopo più di 20 mesi dai primi sintomi —, ai pochi centri di riferimento presenti sul territorio ( indirizzi sul sito www.reumatologia.it); dalle liste di attesa troppo lunghe, alla scarsa informazione. Così i malati restano soli.
Stessa incertezza nelle terapie farmacologiche: colpisce il fatto che molti pazienti, nonostante la diagnosi certa, siano trattati ancora solo con antidolorifici e antinfiammatori (che alleviano i sintomi, ma non modificano il decorso della malattia), mentre sono poco utilizzati i farmaci di fondo anche dopo aver avuto una diagnosi certa e ancora meno quelli biologici ».
Il rapporto rileva ancora una volta il gap tra Nord e Sud: qui i tempi per le diagnosi sono più lunghi così come le liste di attesa, i Centri di riferimento meno raggiungibili, maggiori le difficoltà burocratiche per l'esenzione dal ticket su prestazioni e farmaci, le cure meno efficaci con un ricorso più alto di farmaci sintomatici.
«È scandaloso che le differenti velocità delle Regioni italiane si ripercuotano sulla qualità di vita dei pazienti, che hanno difficoltà a muoversi e a maggior ragione non dovrebbero spostarsi per essere curati» afferma Antonella Celano, presidente dell'Anmar (numero verde: 800.910625). Il 37,7% dei malati si rammarica di non aver avuto una diagnosi tempestiva e cure più efficaci. E tra i servizi da potenziare mette al primo posto i Centri reumatologici come punto di riferimento.
 

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