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Medici di famiglia e territorio: in Piemonte allo studio gli ambulatori aperti dalle 8 alle 20, continuità assistenziale in Lombardia e Toscana, un esempio per tutte le regioni, dice Fazio. Il sondaggio: gli italiani preferiscono curarsi in casa

Medicina Generale Silvio Campione | 02/11/2011 20:10

Un medico di famiglia a tutto campo, impegnato sul territorio e per la prevenzione. L’impegno per i camici bianchi rischia di aumentare di giorno in giorno, con un aggravio di responsabilità a cui solo in casi rari corrisponde un adeguato compenso. In Piemonte si studia, per esempio, un nuovo orario d’apertura degli ambulatori, dalle 8 alle 20. E’ uno degli obiettivi che si prefigge il presidente Roberto Cota: ''Contiamo di raggiungere il traguardo - ha detto Cota - attraverso il consorzio di più medici di famiglia in singoli studi, in modo che possa essere assicurata all'utenza la continuità del servizio dal mattino alla sera dal lunedì al venerdì. E' un progetto - ha concluso - su cui ci impegniamo a lavorare fin da subito''.

 Dalla Lombardia e dalla Toscana, invece, arriva il percorso di continuità per malattie croniche in cui i pazienti vengono seguiti e curati  sul territorio e non più soltanto in ospedale. Fazio cita le due regioni come esempio: “In Toscana - ha esemplificato Fazio -, c'è un sistema per cui nella retribuzione dei medici di base è previsto anche un percorso assistenziale per questi pazienti, mentre la Lombardia ha fatto dei bandi per dei provider anche privati che prendano in carico il percorso assistenziale di malati di Parkinson. Dunque ''con i meccanismi che le regioni preferiscono - ha concluso il ministro - l'obiettivo è garantire la continuità assistenziale dei pazienti. Mi auguro che altre Regioni seguano tali esempi''. Tra l’altro gli italiani preferiscono ricevere a casa l’assistenza necessaria e non in un ospedale, come rivela il  rapporto realizzato dall'Osservatorio sulle Cure a Casa della Fondazione Istud, in collaborazione con la Confederazione delle associazioni regionali di distretto (Card) e Cittadinanzattiva. All'indagine hanno partecipato più di duecento cittadini e i distretti sanitari di 15 Regioni, soprattutto del Centro Italia. Circa il 93% dei distretti interpellati dichiara di fornire assistenza domiciliare integrata, l'87% assicura dimissioni “protette” al paziente, cioè la continuità dell'assistenza gratuita dopo la fase acuta curata in ospedale e, nei distretti più virtuosi, uno su tre, si forniscono anche prestazioni complesse: dalle cure palliative in fase di fine vita all'assistenza ai malati oncologici e a chi ha una disabilità motoria o neurologica. “La casa rimane il luogo ideale in cui ricevere trattamenti medici, terapie o cure di riabilitazione da personale qualificato — riferisce Maria Giulia Marini, direttore dell'area sanità della Fondazione Istud —.

I cittadini sarebbero disposti anche a pagare un contributo al Servizio sanitario pur di evitare il ricovero in ospedale”. “Nel loro ambiente consueto i malati cronici e non autosufficienti stanno meglio, si sentono meno soli e si allevia così anche il peso della malattia e la sofferenza — aggiunge Francesca Moccia, coordinatrice del Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanzattiva —. In un contesto di costante aumento degli anziani, e quindi delle patologie croniche correlate con l'invecchiamento, i cittadini non devono sentirsi abbandonati: per questo, quando serve, hanno bisogno di assistenza continua e di tutto il supporto necessario, anche psicologico”. Non più pazienti da trattare, quindi, ma da «prendere in carico» in base alle loro necessità. “Se fino a pochi anni fa per assistenza domiciliare s'intendeva il medico che fa la visita a casa o l'infermiere che va a somministrare la terapia, oggi in molti casi l'ospedale, quando deve dimettere il paziente, concorda le dimissioni con il servizio territoriale di cure domiciliari” sottolinea Marini. E a prendersi cura dell'assistito è un’équipe multidisciplinare, composta da medici, infermieri, operatori socio-sanitari, psicologi. “Come rileva il rapporto, accade sempre più spesso, non ancora dappertutto, che il distretto sanitario abbia un ruolo centrale nell'organizzare le cure a casa - conferma Gilberto Gentili, presidente di Card, che raggruppa le associazioni dei distretti — . Tuttavia, per facilitarle occorrono canali di comunicazione ancora più efficaci”. Anche se le cure domiciliari si stanno diffondendo, secondo il rapporto sono ancora inadeguate in alcune regioni. “Il Nord e il Centro "viaggiano" più in fretta — afferma Gentili —, ma alcune regioni del Sud, come Puglia, Campania e Sicilia, stanno recuperando”.
Altre note dolenti segnalate dall'indagine riguardano la telemedicina, che aiuterebbe a seguire i pazienti a distanza (è attivata solo in un distretto su quattro); la carenza di personale, soprattutto di infermieri; la scarsa integrazione tra servizi sanitari e socio-assistenziali, confermata anche dall'assenza quasi totale di convenzioni tra distretti e Comuni per reperire assistenti familiari o badanti. E il pieno coinvolgimento dei medici di base e dei pediatri di famiglia arriva dal  Piano nazionale per la prevenzione 2010-2012 (approvato con intesa Stato Regioni il 29 aprile 2010) appena  pubblicato in Gazzetta Ufficiale: il decreto del ministro della Salute fissa le azioni centrali di prevenzione ritenute prioritarie per poter avviare pienamente le politiche di prevenzione a livello regionale. Il decreto del ministro Fazio individua diverse linee di intervento delle istituzioni nazionali per supportare in modo coordinato i piani regionali. Tra questi spiccano gli impegni per implementare i registri e i sistemi informativi di sorveglianza epidemiologica che si rivelino di importanza strategica per il buon esito del piano; per favorire il pieno coinvolgimento dei medici di famiglia e pediatri di libera scelta, attraverso il recepimento nelle rispettive convenzioni di un impegno più definito e stringente nei piani di prevenzione; per utilizzare al meglio la medicina predittiva, evitando sprechi di risorse non giustificate dai risultati, attraverso l’adozione di un protocollo di utilizzo della Public Health Genomics (in inglese nel testo del decreto) basato sulle evidenze disponibili. Infine un nota sul Governo clinico che non piace ai sindacati che  chiedono una rivisitazione del testo sul governo clinico ''in linea con le attuali esigenze delle categorie professionali. Altrimenti meglio farne a meno''. E' questo il commento delle organizzazioni sindacali della dirigenza medica, veterinaria, sanitaria, tecnica, professionale ed amministrativa al nuovo testo del ddl in discussione presso la Commissione Affari Sociali della Camera. "Dopo il via libera delle Regioni, che continuano ad oscillare tra opposizione, in difesa della sanità pubblica, alle politiche governative e collaborazione contro i medici, i veterinari ed i dirigenti del Ssn, il ddl cosiddetto sul 'governo clinico', riemerge dai cassetti. L'approvazione da parte delle Regioni - si legge in una nota congiunta - non può, però, nascondere che i contenuti appaiono, quando non peggiorativi, insufficienti rispetto alla gravità e complessità del disagio che i medici, i veterinari e i dirigenti oggi vivono all'interno del sistema sanitario''. Per i sindacati medici ''invece che porsi come strumento di un sostanziale cambiamento di rotta il testo in esame si limita a ribadire norme di funzionalità delle aziende sanitarie, sfiorando soltanto il nocciolo dei problemi che pure, a detta dei promotori, l'avrebbero originato, e sottraendo ulteriore materia allo spazio contrattuale per affidarla in modo unilaterale alle Regioni. Ancora una volta si modifica l'età di quiescenza contribuendo, dopo avere rifiutato di anticipare l'età di ingresso nel sistema, all'invecchiamento della categoria. Aumenta la discrezionalità politico-amministrativa nelle procedure di selezione e verifica delle carriere, a dispetto di titoli e esperienza professionale. Si lasciano inalterati ingiustificati privilegi dell'Università nella governance delle Aziende integrate''.

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