Un esercito di 12 milioni di italiani: a tanto ammontano i connazionali alle prese con l'ipertensione. Per loro la pressione è fuori controllo, con potenziali rischi per cervello, cuore e reni. Circa l'80%, ovvero 10 milioni di cittadini, è in terapia con farmaci, "ma solo il 30% è curato correttamente", denuncia Francesco Fedele, direttore della scuola di specializzazione in cardiologia dell'università degli Studi di Roma Sapienza e residente della Sic (Società italiana di cardiologia), in un incontro a Roma sul tema.
Se da un lato a incorrere nell'errore può essere lo stesso paziente, che dimentica la ura o la interrompe, stanco della consueta pasticca (difetto di compliance in gergo ecnico), a volte l'errore può arrivare anche dal medico prescrittore, "che opta per un armaco piuttosto che per due principi attivi in combinazione".
Solo il 40% dei pazienti, infatti, riesce a tenere a bada la pressione in 'monoterapia', ovvero con un'unica molecola. "Ma poiché l'ipertensione è una patologia multifattoriale - spiega infatti Fedele - per raggiungere l'obiettivo terapeutico il medico associa in genere due farmaci con meccanismi d'azione differenti e complementari, in modo da ottenere il risultato migliore in termine di efficacia e cercando di controbilanciare eventuali effetti collaterali". Circa il 60% dei pazienti ipertesi, infatti, assume una combinazione di due molecole. "Il medico italiano -spiega tuttavia l'esperto - a differenza dei colleghi degli altri Paesi europei vede ridotta la sua possibilità di scelta perché, mentre nel caso delle combinazioni libere può prescrivere qualsiasi prodotto, nel caso di quelle fisse le uniche confezioni a sua disposizione sono sostanzialmente quelle con i diuretici".
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