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Dall'Espresso: La fabbrica del cervello

Psichiatria Redazione DottNet | 01/11/2008 10:37

È la bioetica del Terzo millennio. Il tempo delle pillole per la felicità, della diagnostica per immagini che individua le malattie ma legge anche le nostre pulsioni, della neurochirurgia capace di modificare le funzioni cerebrali e, in prospettiva, dei chip impiantati nel nostro cranio per sapere cosa vi accade ma anche per alterare i comportamenti. Degli interventi diretti sul cervello per darci la felicità o cambiare le nostre inclinazioni. Le neuroscienze hanno aperto un vaso di Pandora di cui molti faticano a vedere le conseguenze. L'obiettivo è la salute, le cure, la diagnostica, ma con quali confini?

Così come oggi ci troviamo a discutere di sperimentazioni su embrioni e staminali, a esaltarne le potenzialità terapeutiche, la strada è aperta per discutere, anche molto aspramente, su dove stabilire il confine etico degli interventi sul cervello. È la cosiddetta neuroetica, nata ufficialmente nel maggio 2006 con la creazione ad Asilomar, in California, della Neuroethic society, un'assemblea internazionale di ricercatori che, nel prossimo novembre, terrà il suo primo simposio a Washington presso il quartier generale dell'American Association for the Advancement of Science. E pochi mesi fa è nata la rivista 'Neuroethics', la prima interamente dedicata al tema.

Guru indiscusso della nuova bioetica è Peter Reiner, docente alle Università della Pennsylvania e della British Columbia dove guida il neonato National Core for Neuroethics.

Grazie a un curriculum molto particolare: neurofarmacologo di origine ungherese, ha lasciato l'accademia per trasformarsi in imprenditore. sviluppando farmaci contro l'Alzheimer. Per poi tornare all'università con l'obiettivo di integrare le sue ricerche con una riflessione sulle possibili ricadute delle loro applicazioni. "Il cervello è l'essenza di ciò che siamo: per questo ci preoccupiamo, quando la tecnologia ci insegna come alterarne le funzioni", ci ha spiegato: "Accettare il progresso non vuol dire ignorarne le possibili conseguenze. Meglio intervenire subito, per massimizzare i benefici e ridimensionare per quanto possibile i danni, che ritrovarci con un futuro che non sappiamo come gestire".

Già oggi farmaci nati per curare sono usati per 'migliorarci'. Come il Prozac, antidepressivo propagandato come pillola della felicità. Con risultati ancora da dimostrare. "Sappiamo che gli Ssri (gli inibitori della ricaptazione della serotonina come il Prozac ) non sono davvero in grado di rendere normali i depressi e felici le persone normali. Però pare che riescano comunque ad attenuare gli effetti delle esperienze negative, insomma a farci vedere la vita meno nera", sostiene Martha J Farah, promotrice del sito di neuroetica della Penn University: "L'esperienza con farmaci come il Viagra fa pensare che le nuove molecole allo studio per trattare i disturbi del desiderio saranno richieste anche da pazienti sani ". Lo stesso vale per il Modafinil, un farmaco anti narcolessia che negli Usa sono già in molti, dai piloti militari ai giovani medici ospedalieri, a prendere per rimanere svegli finché serve, per poi addormentarsi immediatamente grazie allo Zolpidem, un sonnifero ad azione rapida. "Una indagine mostra che il 15 per cento degli studenti americani usa il Ritalin per prepararsi agli esami", ricorda Reiner. Oltre ai farmaci che servono a diminuire il bisogno di sonno e aumentare la resistenza a fatica e dolore, sono allo studio ormoni che potrebbero annullare le resistenze psicologiche. Li studiano i militari e ne parla Jonathan Moreno dell'Università della Pennsylvania nel saggio 'Mind Wars'.

Un assaggio di quello che ci aspetta in futuro? "Queste sono sostanze efficaci, non rivoluzionarie. Ma oggi sappiamo molto di più dei meccanismi di apprendimento e memoria rispetto al passato, e tra una decina d'anni ci saranno farmaci su misura per potenziare diverse forme di memoria, o per intervenire sul normale rallentamento cognitivo dovuto all'invecchiamento", spiega il neurologo: "A 50 anni la nostra capacità di memorizzazione si riduce del 50 per cento, e questo è un incentivo incredibile a usare farmaci. Dopo gli insuccessi delle prime sperimentazioni, ora ci sono almeno tre sostanze in studio". Non c'è dubbio che quando arriveranno saranno i farmaci più popolari mai esistiti.

Veri blockbuster. Intanto i ricercatori si chiedono se queste sostanze sono davvero sicure, anche a lungo termine. E se il nostro organismo è in grado di gestire questo tipo di stimolanti, o rischia di comportarsi come una utilitaria con il motore truccato. Il dubbio non sembra preoccupare i potenziali utenti: le prime indagini mostrano che il 70 per cento di loro accetterebbe senza problemi effetti collaterali moderati. "In una società competitiva come la nostra, in cui c'è una continua pressione a fare di più e meglio, non c'è da stupirsi. L'università ci paga per usare il cervello, se un mio collega usa stimolanti cognitivi perché io non dovrei? Anzi, potrei sentirmi obbligato a farlo, per non rimanere indietro", osserva Reiner: "Già oggi l'80 per cento degli accademici trova accettabile usare questi farmaci, ribattezzati professor's little helper, gli aiutini del professore".

E gli studenti? Per ora le indagini mostrano che pochi genitori darebbero questi farmaci ai figli, anche se sapessero che i loro compagni li prendono. Ma sarà davvero così nel mondo reale, quando è in gioco una borsa di studio o l'iscrizione a una facoltà prestigiosa? È vero che gli stimolanti cognitivi esistono da sempre. Ma in forme diverse. Non parliamo solo di sostanze come il caffè o la nicotina: "Lo è, ad esempio, il linguaggio, che ha permesso di organizzare la società come mai in precedenza, o strumenti come la penna o la stampa. Io stesso sono uno stimolante cognitivo per i miei studenti, nel senso che induco cambiamenti nel loro cervello", aggiunge Reiner.

Accanto ai farmaci ora si studiano anche strumenti diversi, come la stimolazione magnetica transcranica e la meditazione che si è dimostrata efficace per migliorare attenzione e consapevolezza. O i software per l'allenamento cerebrale, con risultati così interessanti che alcune assicurazioni li offrono ai loro clienti anziani, con l'obiettivo di risparmiare in futuro rallentandone la degenerazione cognitiva.

A fare da freno potrebbero contribuire i prezzi elevati, ma un meccanismo di compensazione sembra assicurato dal tipo di molecole disponibili, più efficaci in soggetti intellettualmente meno dotati. "Comunque i farmaci hanno dei limiti: possiamo rendere una persona più veloce e lucida, non darle qualità che non ha", ammette Reiner: "Io ho più strumenti per scrivere e documentarmi di quelli di cui disponeva Dante, ma un farmaco in grado di farmi scrivere la 'Divina Commedia' non esiste. E non credo che ci arriveremo tanto presto".

Ma i ricercatori sono al lavoro. Anche per trovare molecole in grado di intervenire su sentimenti ed emozioni. Il terreno più complesso e potenzialmente più redditizio. "Le emozioni sono generate dall'attività cerebrale, e al tempo stesso la influenzano. Ma alla base c'è sempre un processo neurochimico", ricorda Reiner.

Amore in provetta? Parlare di un farmaco per l'amore è prematuro, ma è allo studio un ormone in grado di generare attrazione nei confronti di una specifica persona. E ci sono già spray a base di ossitocina che dovrebbero servire a incrementare la fiducia. Con risultati ancora dubbi. Ma le ricerche esistono, e sono tante: si prospetta un futuro a base di sentimenti in pillole? "Dovremo ripensare concetti fondamentali, come quelli di onestà o inganno. La neuroetica può aiutarci a capire cosa consideriamo accettabile e cosa no, a distinguere i trattamenti che migliorano la nostra vita da quelli che rischiano di impoverire la ricchezza delle interazioni umane", commenta Reiner.

Certo, ragione di preoccupazione è anche tutto ciò che possono rivelare delle inclinazioni di un individuo le tecniche di 'brain imaging': la paura è che chi legge possa sfruttare le informazioni che ne derivano sia commercialmente che per influenzare le scelte dei cittadini. Il pericolo che questo possa accadere è assai remoto. "Oggi sono tutti innamorati della risonanza magnetica funzionale, che ci permette di capire molto del funzionamento cerebrale", osserva Reiner: "Il problema è che non sappiamo ancora interpretare ciò che vediamo: gli schermi visualizzano neuroni che si attivano, una sinapsi che si rafforza, la produzione di un neurotrasmettitore, ma non riusciamo davvero a capire cosa questo voglia dire". La rivoluzione ci sarà quando sapremo tradurre il codice del nostro cervello, un sistema complesso fatto di miliardi di neuroni con decine di migliaia di connessioni. "Di leggere la mente ancora non se ne parla, ma ogni giorno ci andiamo più vicini. E prima o dopo ci arriveremo", assicura Reiner. Sollevando un mare di problemi, a partire da quello della nostra intimità violata. Abbiamo sempre dato per scontato che possiamo pensare quello che vogliamo, e che questi pensieri restano privati finché non decidiamo altrimenti. Questo potrebbe cambiare. Come potrebbe cambiare la nostra idea di giustizia: il fatto che le nostre scelte non siano più un concetto astratto, ma un prodotto di molecole e neurotrasmettitori, cambia il modo di valutare la responsabilità. "E pone un interrogativo importante: se il delitto nasce dalla chimica del nostro cervello, ha senso parlare di punizione e non di cura?", si chiede il neurologo. Anche se mentire potrebbe diventare impossibile: una società statunitense, No Lie Mri, ha realizzato una risonanza magnetica funzionale che, secondo l'azienda, è in grado di svelare le bugie. In corso ci sono altre ricerche in materia, annunciate su 'Nature' e in gran parte finanziate dal Darpa e dal ministero della Difesa americano.

I temi si accavallano e il rischio è quello di preoccuparsi per rischi che le tecnologie rendono plausibili, ma non ancora possibili. La neuroetica è proprio il palcoscenico in cui questi pensieri senza frontiere prendono corpo. Ma Reiner è capace di riportare la filosofia a un tema molto attuale e concreto quando dice: "Oggi ne sappiamo dieci volte più di dieci anni fa, e cento volte meno di quello che ne sapremo tra dieci anni. E allora forse saremo anche in grado di scegliere: queste sostanze ci fanno lavorare di più e godere meno la vita. Forse domani potremo cominciare a fare il contrario".
 

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