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Giovanissimi bulli per colpa di un ormone

Pediatria Redazione DottNet | 04/11/2008 14:59

Adolescenti aggressivi e violenti in classe e fuori? Dietro i giovani bulli può nascondersi un problema ormonale. Bassi livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, sono stati collegati al comportamento antisociale dei teenager maschi. In genere i livelli di questo ormone nel corpo si impennano nel caso di situazioni stressanti, per aiutarci a controllare le emozioni. Ma i ricercatori dell’Università di Cambridge (Gb) hanno scoperto che questo non accade ai ragazzi che hanno alle spalle una storia di gravi comportamenti antisociali. La ricerca, pubblicata su Biological Psychiatry, suggerisce che i giovani pestiferi potrebbero essere a loro volta vittime di una forma di disturbo mentale, collegato a uno sbilanciamento chimico nel cervello. L’aumento del cortisolo dovrebbe infatti rendere le persone più prudenti, e aiutarle a controllare le emozioni, in particolare il temperamento esplosivo e gli impulsi violenti. Il team britannico diretto da Grame Fairchild ha reclutato un gruppo di giovanissimi studenti britannici, con o senza storia di aggressività e violenza, e li ha sottoposti a un test.

I ricercatori hanno raccolto campioni di saliva dei ragazzi coinvolti in una situazione non stressante, per valutare i livelli di ormone in assenza di tensione. Poi i controlli sono stati ripetuti immediatamente prima, durante e dopo un esperimento stressante. Così si è visto che, mentre i ragazzi in media mostravano picchi di cortisolo proprio in coincidenza con la situazione frustrante, i livelli erano bassi nei coetanei con alle spalle storie di gravi comportamenti antisociali. Lo studio suggerisce dunque che violenza e aggressività dei giovanissimi possono avere delle basi biologiche, proprio come la depressione e l’ansia.

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"Se possiamo figurarci cosa di preciso impedisce una normale risposta allo stress, potremo essere in grado di disegnare nuovi trattamenti per aiutare le persone con gravi problemi di comportamento", spiega Fairchild. Che pensa anche a futuri interventi mirati per le persone ad altro rischio. "Un possibile trattamento offrirebbe la chance di migliorare la vita degli adolescenti colpiti da questo problema, ma anche delle comunità di cui fanno parte”, conclude il ricercatore.

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