Identificato per la prima volta da un team di scienziati dell’IFOM e dell’Università degli Studi di Milano un possibile approccio terapeutico per curare i cavernomi cerebrali, una malformazione congenita o sporadica che può dare origine a emorragie cerebrali ed è fino ad oggi curabile solo tramite asportazione neurochirurgica.
La scoperta, pubblicata oggi su Nature, individua in una terapia antiinfiammatoria e antitumorale la possibile cura per questa patologia poco nota ma molto meno rara di quanto si immagini: ne sono potenzialmente affette almeno una persona su 500.
Milano, 12 giugno 2013 - Si tratta di una malformazione dei vasi cerebrali, familiare o sporadica, caratterizzata dalla formazione di agglomerati di vasi sanguigni abnormemente dilatati e fragili, chiamati “caverne”, che possono manifestarsi con emorragie intracerebrali, deficit neurologici, crisi epilettiche e mal di testa ricorrenti.
Dalla forma simile a un lampone, i cavernomi cerebrali sono costituiti da un fitto agglomerato di bolle gonfie di sangue e rivestite da una parete endoteliale estremamente sottile e fragile. La serietà e la tipologia dei sintomi dipende sia dalla sede del cervello in cui si trova il cavernoma sia dalla sua dimensione, che va da pochi millimetri a diversi centimetri. Il numero di lesioni può variare da uno, nei casi di tipologia sporadica, ad alcune decine, nel caso di tipologia ereditaria.
Si stima che la probabilità di sviluppare cavernomi cerebrali riguardi più di una persona su 500, ma nella maggior parte dei casi (70-80%) possono rimanere silenti anche per tutta la vita, senza dare alcun sintomo. La matrice della malformazione può essere sporadica- e cioè presente in un solo individuo e non nei suoi familiari, - o ereditaria, con una modalità di trasmissione autosomica dominante. Che sia presente dalla nascita o si origini nel corso della vita, la malformazione presenta sintomi clinici prevalentemente in età adulta, dopo i 20 anni. Se non vi sono evidenze di carattere ereditario, i cavernomi cerebrali sono difficilmente diagnosticabili e spesso vengono scoperti in modo fortuito, nel corso di indagini effettuate per altri motivi. I sintomi difatti non sono specifici e possono essere riconducibili ad altre patologie cerebrali.
Una volta effettuata la diagnosi tramite risonanza magnetica, l’unico trattamento oggi possibile per curare i cavernomi cerebrali è rappresentato dalla rimozione chirurgica tramite craniotomia, che si rende necessaria solo se sono sintomatici o in espansione.
Pur essendo sempre più sicura grazie alle metodiche di precisione della microchirurgia, la rimozione neurochirurgica può risultere critica: questo soprattutto se il paziente è un bambino o se il cavernoma è ubicato in un’area cerebrale delicata o nel midollo spinale, perché l’intervento rischia di provocare danni alle strutture cerebrali sane circostanti.
Una conoscenza più approfondita dei meccanismi molecolari alla base della formazione dei cavernomi sembra indicare la via per approcci terapeutici alternativi alla chirurgia, meno invasivi e più risolutivi.
E’ già noto che la malformazione cavernosa cerebrale è causata, dalla assenza di una delle tre proteine che formano il complesso CCM ( Cerebral Cavernous Malformation) e che sono codificate da tre geni chiamati CCM1, CCM2 o CCM3. Ma fino ad oggi molte questioni rimanevano ancora irrisolte: quali fattori molecolari originano la patologia? Quali sono i meccanismi di alterazione che intervengono nello sviluppo abnorme dei vasi sanguigni?
Un contributo che segna un passo decisivo sia nella direzione della conoscenza molecolare delle Malformazioni Cavernose Cerebrali sia nell’individuazione di una loro cura viene da una ricerca pubblicata oggi sull’autorevole rivista scientifica Nature e condotta nei laboratori dell’IFOM di Milano da Elisabetta Dejana, ricercatrice che si è distinta negli ultimi anni per i suoi contributi sulla comprensione dei meccanismi che regolano lo sviluppo del sistema vascolare nei tumori
“Il cavernoma è di fatto assimilabile a un tumore benigno, in cui la moltiplicazione incontrollata e progressiva delle cellule del tessuto rimane circoscritta a una determinata area.
Ufficio Stampa di Ateneo
Anna Cavagna – Glenda Mereghetti
tel. 02.5031.2983 - 2025
e-mail: ufficiostampa@unimi.it
Conosci meglio UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO in WHO’S WHO IN ITALY :
Scoperti nuovi fattori di rischio: il colesterolo "cattivo" nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata
Perdita di autonomia, stigma sociale e peso economico i principali timori
Il lavoro, che accoglie le prime evidenze dello studio Nemesis è stato pubblicato su Nature Communications e illustra la generazione e i meccanismi neuronali delle alterazioni, suggerendo nuove vie di riabilitazione
All’A.O.U. Luigi Vanvitelli una nuova tecnologia cambierà la vita di migliaia di pazienti
Scoperti nuovi fattori di rischio: il colesterolo "cattivo" nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata
Perdita di autonomia, stigma sociale e peso economico i principali timori
Il lavoro, che accoglie le prime evidenze dello studio Nemesis è stato pubblicato su Nature Communications e illustra la generazione e i meccanismi neuronali delle alterazioni, suggerendo nuove vie di riabilitazione
All’A.O.U. Luigi Vanvitelli una nuova tecnologia cambierà la vita di migliaia di pazienti
Commenti