L’Aifa ancora una volta nel mirino degli specialisti. Dopo gli oftalmologi, adesso ad attaccare l’Agenzia sono i diabetologi: secondo la Società Italiana di Diabetologia (Sid) riunita a Barcellona, dove si tiene in questi giorni il congresso dell’Associazione Europea per lo Studio sul Diabete (Easd), in Italia i malati di diabete non hanno accesso alle cure più innovative, che invece sono garantite in Europa, a causa di una decisione dell'Aifa.
Gli esperti si riferiscono alla classe di farmaci chiamata incretine, di cui la scorsa estate l'agenzia per il farmaco ha ristretto la prescrizione. ''Le terapie basate sulle incretine - afferma Stefano Del Prato (nella foto), presidente della Società Italiana di Diabetologia e vice-presidente dell’Easd - sono efficaci, sicure, non danno rischio di ipoglicemie e non determinano un aumento del peso. Per tutte queste caratteristiche dovrebbero idealmente trovare una collocazione in una fase precoce della malattia, anziché essere usate tardivamente e solo su poche categorie di pazienti come vorrebbe la revisione prescrittiva approntata dall'Aifa''.
I medici italiani riuniti a Barcellona non hanno dubbi: “Se fosse stato confermato che le incretine possono aumentare il rischio di cancro al pancreas o altre terribili malattie – come era stato prospettato a giugno da un'inchiesta di Channel 4 e British Medical Journal – vietarne l'uso o quantomeno usare una maggiore cautela nella loro somministrazione sarebbe stato d'obbligo per tutte le autorità regolatorie nazionali. Ma visto che la terapia a base di farmaci incretino-mimetici è stata scagionata da ogni accusa dalle società scientifiche internazionali (ADA, EASD), dell’International Diabetes Federation (IDF) e della stessa agenzia regolatoria europea (EMA), le preoccupazioni circa la safety di questi farmaci a livello del pancreas e la relativa decisione da parte dell'AIFA di limitare l’accesso a queste terapie non è – secondo la Società Italiana Diabete – giustificabile”. Inizialmente, l'AIFA aveva infatti giustificato le restrizioni all’impiego delle terapie basate sulle incretine con i dubbi ancora presenti sulla sicurezza di questi farmaci: le preoccupazioni erano state sollevate prima da un servizio pubblicato su British Medical Journal e poi da un lavoro scientifico pubblicato sul numero di luglio di Diabetes Care. Entrambi gli articoli sottolineavano i potenziali rischi di queste terapie, in particolare riguardo il fatto che potessero causare pancreatiti e neoplasie endocrine a livello del pancreas. Data l'importanza delle fonti e delle accuse, comunità scientifica e agenzie regolatorie avevano subito lanciato una revisione degli studi a riguardo, e chiesto alle case farmaceutiche che producono le molecole incriminate di fornire i dati a disposizione.
Al Congresso EASD c'è chi affermache il problema è solo economico, come riporta Quotidiano Sanità: “Se si dovesse applicare lo stesso metro applicato alle incretine anche ai vecchi farmaci, bisognerebbe probabilmente minacciare di ritirare buona parte delle sulfaniluree”, ha detto Salvatore Caputo, presidente di Diabete Italia, associazione che raccoglie medici, operatori sanitari professionisti, associazioni di persone con diabete. “Il punto è che è intollerabile che per i criteri di sicurezza ci siano due pesi e due misure: per ora le terapie più costose per il Sistema sanitario nazionale – come le incretine – sono trattate diversamente da quelle più economiche – come i farmaci più vecchi”. Qualunque sia il motivo di questa situazione, gli esperti italiani presenti a Barcellona si “augurano che l’Agenzia regolatoria italiana voglia prendere in considerazione i suggerimenti fatti pervenire dalle società scientifiche e dalle associazioni dei pazienti”, ha spiegato Del Prato. Un concetto ribadito con forza dal Congresso EASD 2013. “Al contrario degli altri pazienti europei, alla maggior parte dei nostri connazionali con diabete di tipo 2 è di fatto impedito l’accesso alle terapie anti-diabetiche di ultima generazione, efficaci sul controllo della glicemia, senza esporre al rischio di pericolosi episodi di ipoglicemia e senza far aumentare di peso. Anzi molto spesso, facendo scendere l’ago della bilancia”, si legge in un comunicato. “Al confronto con gli altri Paesi europei l’Italia appare come la Cenerentola delle terapie antidiabetiche innovative”.
Ma le incretine potrebbero essere un valido aiuto anche nelle ipoglicemie, un problema frequente quando la terapia del diabete è condotta con farmaci della classe delle sulfoniluree e con la repaglinide. Un problema che può essere tanto serio da causare la morte”. Lo conferma Enzo Bonora, presidente eletto della SID, che riporta i risultati di una recente ricerca condotta in Italia da Giulio Marchesini e colleghi dell’Unità di Malattie Metaboliche e Dietologia Clinica dell’Università di Bologna e del Dipartimento di emergenza dell’Ospedale ‘Giovanbattista Morgagni’ di Forlì. La ricerca non è altro che un’analisi retrospettiva sull’accesso a 38 dipartimenti di emergenza italiani, generato da 2.889 episodi di ipoglicemia, in un arco temporale di 18 mesi (gennaio 2011-giugno 2012). Dopo aver escluso i casi di ipoglicemia riconducibili ad altre condizioni (es. cachessia neoplastica o condizioni terminali), gli scienziati hanno tentato di comprendere che tipo di trattamento stavano seguendo i pazienti con diabete mellito dei rimanenti 2.675 episodi di ipoglicemia rilevati nello studio (età media 71 anni, 51% maschi; glicemia media relativa all’episodio di ipoglicemia inferiore a 44 mg/dl).
I dati:È così emerso che i trattamenti in atto al momento della crisi ipoglicemica erano così ripartiti: insulina (64%, da sola o in associazione ad altri trattamenti nel 32% dei casi); tra i farmaci orali: metformina (55%), sulfaniluree (62%), repaglinide (15%), pioglitazone (2%), agonisti del GLP-1 (1%), inibitori del DPP-4 (2%), acarbose (4%). In definitiva, spiegano gli scienziati presenti a Barcellona, “in oltre l’80% dei casi di ipoglicemia osservati, i pazienti erano in trattamento o con sulfaniluree o con repaglinide”. Un risultato che – secondo la Società Italiana di Diabete – va ad avvalorare la tesi che usare le incretine al posto dei farmaci più largamente utilizzati oggi potrebbe essere una soluzione a molti problemi. “Questo studio – commenta il professor Enzo Bonora, presidente eletto della SID – è assai rilevante per le discussioni in corso sulla opportunità o meno di trasferire pazienti dalla terapia con sulfoniluree o repaglinide alla terapia con incretine non tanto per un problema di efficacia (che è sostanzialmente identica o poco differente per i vari anti-diabetici orali) ma per un problema di sicurezza. Le incretine non causano ipoglicemie mentre le sulfoniluree e repaglinide lo fanno. E le ipoglicemie possono causare incidenti, traumi e anche la morte, come dimostrato da questo studio”. Tra le sulfaniluree, quella più frequentemente associata agli episodi di ipoglicemia è risultata essere la glibenclamide (61%), seguita dalla glimepiride (22%) e dalla gliclazide (14%); fanalino di coda gliquidone e glipizide (1%). 234 casi di ipoglicemia (157 dei quali indotti da insulina) erano associati a qualche tipo di trauma, 39 ad incidenti stradali (di questi 25 indotti da insulina). In un caso di su due, l’ipoglicemia era stata trattata dal paziente stesso prima dell’arrivo in ospedale, ma nel 51% era stato necessario l’intervento del personale d’Emergenza. Ma come veniva trattata poi questa ipoglicemia? Presso il Dipartimento d’Emergenza, in un caso di 5 attraverso la somministrazione di glucosio per bocca, in un caso su 3 attraverso infusioni endovenose di glucosio e mediante la somministrazione di glucagone per iniezione intramuscolare nel 2% dei casi. Inoltre, un caso su 5 di quelli arrivati in PS, veniva trattenuto in osservazione per meno di 24 ore, il 7% rifiutava il ricovero, il 31% veniva ricoverato in una divisione di medicina (la degenza durava una media di 8 giorni). Tra i ricoverati per ipoglicemia, sono stati registrati 77 decessi (il 9% del totale dei ricoveri). 6 pazienti sono deceduti presso il Dipartimento d’Emergenza. Ma non sono solo gli eventi più gravi a preoccupare pazienti e medici: le ipoglicemie condizionano psicologicamente il paziente che, dopo averne sviluppata una, vive con la paura dell’ipoglicemia. “Evitare le ipoglicemie – conclude Bonora - è diventato un obiettivo importante per chi cura i diabetici tanto quanto correggere l’iperglicemia”.
Ma le incretine possono veramente essere la soluzione?Secondo molti sì. “Negli ultimi anni – spiega il professor Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) si legge su Qs – alla diabetologia sono state offerte nuove opportunità terapeutiche, tra le quali i farmaci incretinici, farmaci che agiscono o aumentando i livelli di GLP-1 (è il caso dei cosiddetti analoghi del GLP-1) o di preservarlo dalla degradazione enzimatica (azione svolta dagli inibitori del DDP IV). Il GLP-1, un ormone prodotto a livello intestinale, agisce sulle cellule del pancreas, provocando un aumento della secrezione di insulina e riducendo quella di glucagone; in questo modo garantisce un miglior controllo della glicemia. Questi farmaci non si associano in generale ad un aumento di peso o, in alcuni casi addirittura favoriscono il calo ponderale; ma soprattutto – fatto questo di grande interesse per alcune fasce di pazienti in modo particolare – non si associano al rischio di ipoglicemia”. Inoltre, aggiunge Bonora, “questi farmaci rispetto alle ancora troppo spesso usate sulfoniluree (in particolare la glibenclamide) e alle del tutto simili glinidi, hanno la grande virtù di non avere alcuna interferenza farmacologica con altri farmaci e sono ideali per pazienti come i diabetici che assumono moltissimi farmaci per le patologie concomitanti e le complicanze del diabete”.
Il problema delle ipoglicemie: Carlo B. Giorda, presidente della Fondazione AMD – Associazione Medici Diabetologi, non ha dubbi: l'ipoglicemia è uno dei più rilevanti per il diabetico. “Si tratta di un problema inconfutabile nel diabete di tipo 1, e un fattore molto molto importante, insieme ad altri, nel diabete di tipo 2”, ha spiegato durante del Congresso EASD 2013 in corso a Barcellona. “Causa aumenti di peso nei pazienti, che tentano di compensare i disturbi che provoca mangiando più dolci, favorisce aritmie e coaguli, e si stima che una porzione non trascurabile dei ricoveri per frattura di femore nei nostri ospedali sia da attribuire proprio alle ipoglicemie, anche in persone che non hanno ancora avuto una diagnosi di diabete”. Ma non solo, spiega Giorda, perché la complicazione ha anche importanti ricadute sociali. “Come già detto è complice dell'aumento dei ricoveri, per una spesa per il servizio sanitario stimata ben oltre i 400 milioni di euro. Una cifra considerevole, comunque sottostimata, perché non tiene conto di tutti i casi di accessi al pronto soccorso che non sfociano in un ricovero”, ha commentato. Una proiezione elaborata sulla base di uno studio condotto dal Consorzio Mario Negri Sud e dalla regione Puglia, sui costi delle ipoglicemie nel periodo 2003-2010, ci dice come in questi 8 anni l’ipoglicemia sia stata responsabile di 128.000 ricoveri ospedalieri in Italia, per episodi gravi o cadute, incidenti e altre conseguenze del repentino abbassamento della glicemia. Mediamente, infatti, secondo lo stesso studio, è di 2.326 euro il costo di ogni singolo ricovero causato da un episodio grave di ipoglicemia e di 3.489 euro il costo se l’ipoglicemia causa conseguenze gravi quali eventi cardiovascolari o cadute con fratture. “Senza contare le giornate lavorative perse e la diminuita produttività che l'alterazione dello stato cognitivo a seguito delle ipoglicemie può comportare anche a distanza di giorni dal singolo episodio, nonché i soldi spesi per l'assistenza agli anziani non più autosufficienti a seguito di una grave ipoglicemia”. Il diabete dunque non preoccupa solo per gli aspetti sanitari, ma anche per quelli economici. In Italia, il diabete assorbe risorse del Servizio sanitario nazionale per 9,2 miliardi di euro l’anno, con una proiezione di 12 miliardi al 2020. “Non dimenticando che pesano sulla comunità, nel complesso, anche i costi derivanti da perdita di produttività, pensionamento precoce, disabilità permanente della persona con diabete”, spiega ancora. Secondo il Rapporto 2013 “Facts and figures about diabetes in Italy”, che analizza l’andamento dei principali indicatori della malattia regione per regione, redatto sotto l’egida dell’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, i costi diretti del diabete continuano ad essere attribuibili in misura preponderante ai ricoveri ospedalieri, che rappresentano circa il 57% dei costi complessivi, mentre i costi legati ai farmaci rappresentano meno del 7% della spesa pro-capite, stimata mediamente in circa 3.000 euro. Per valutare l’incidenza degli episodi di ipoglicemia severa e sintomatica nelle persone con diabete di tipo 1 e 2, l’impatto sulla qualità di vita e sui costi diretti e indiretti, AMD, in collaborazione con il Consorzio Mario Negri Sud, e il contributo di Novo Nordisk, ha programmato lo studio Hypos-1, un’indagine approfondita condotta dai Servizi di diabetologia, i cui risultati preliminari sono stati illustrati da Giorda. “Nel diabete di tipo 1, una persona su due sperimenta un’ipoglicemia severa l’anno, mentre le ipoglicemie sintomatiche sono estremamente frequenti; mentre nel diabete di tipo 2, una persona su dieci ha un’ipoglicemia severa l’anno e tre su quattro almeno un’ipoglicemia sintomatica”, dice Giorda. “Inoltre, Hypos-1 conferma che le ipoglicemie comportano un evidente impatto negativo sulla qualità di vita, sul benessere fisico, psicologico, sul peso della malattia e soprattutto sulla paura dell’ipoglicemia; non solo: determinano un grosso dispendio di risorse economiche, sia in termini di accesso ai servizi che di perdita di produttività”, aggiunge. Un'idea con cui concorda anche Costas Pilliounis, Vice President Novo Nordisk Italia e Grecia. “Si tratta di una complicanza rilevante non solo per la cura vera e propria ma anche per le conseguenze sulla psicologia del paziente”, ha commentato.
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Fonte: sid, easd, Qs
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