Troppi antibiotici per i bimbi italiani. In 7 casi su 10, soprattutto quando si tratta di piccoli sotto i 3 anni di età, sono utilizzati male e quando non ce n'è bisogno: spessissimo di fronte a malattie virali contro le quali sono inutili. E sono molti i genitori che fanno pressioni sui medici per ottenere la ricetta o addirittura se li autoprescrivono. A tracciare il quadro del cattivo uso di questi medicinali tra i piccoli italiani è stato il professor Ignazio Barberi, docente di pediatria e neonatologia all'università di Messina e presidente della Commissione formazione e ricerca della Società italiana di pediatria (Sip), a margine della celebrazione della prima giornata europea degli antibiotici all'Istituto superiore di sanità a Roma. "Usando male questi farmaci - avverte l'esperto - li renderemo sempre più inefficaci: rischiamo di creare una generazione senza difese dai batteri". I dati su questo argomento, per quanto riguarda la pediatria "non sono completi e omogenei - aggiunge Barberi - sul territorio nazionale. Indicativamente però possiamo stimare un abuso significativo di antibiotici, fino al 70%, in particolare per i bimbi molto piccoli, in tutte le condizioni virali in cui non è indicato: infezioni da virus respiratorio sinciziale, adenovirus o virus influenzale".
In questi casi, infatti, quando la febbre si protrae oltre i due-tre giorni, "si ricorre troppo spesso all'antibiotico - dice l'esperto - sono gli stessi genitori a fare pressione sul medico per ottenere la prescrizione. Il camice bianco - ammette Barberi - spesso cede". E c'è poi l'aggravante dell'uso scorretto con l'interruzione della terapia quando la febbre scompare, comportamento che favorisce l'insorgere delle resistenze al farmaco. L'esperto ricorda quindi le regole fondamentali ai genitori: ascoltare sempre i consigli del medico, non prendere iniziative per cambiare la terapia o interromperla, e seguire attentamente i tempi di cura.
Sin: l’alcol è una sostanza tossica e teratogena in grado di passare sempre la barriera placentare, indipendentemente dall’unità alcolica assunta o dalla frequenza di consumo o dall’epoca gestazionale e raggiunge il feto
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